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ALESSANDRO MANZONI
Contesto generale
Riceve una formazione classica al Longone di Milano, un ambiente conservatore in cui Manzoni sviluppa il suo amore per la letteratura.
- Nel 1806 scrive una lettera a Claude Fauriel: esprime le proprie riflessioni sullo stato della letteratura che deve aprirsi ad un nuovo pubblico (chiaramente si tratta ancora di una platea molto ristretta). Secondo Manzoni i bravi scrittori non devono rivolgersi esclusivamente ad un’élite (stampo illuministico). Questa apertura non è attualmente possibile a causa delle divisioni politiche e dell’arretratezza culturale.
L’italiano in cui si scrive non è la lingua effettivamente utilizzata (la distanza scrittore-lettore è notevole).
Un fenomeno rilevante in questo periodo, inoltre, è l’analfabetismo che affligge l’80 % della popolazione: erano in grado di leggere solo 5 milioni di persone, ma solo gli aristocratici ed il clero entrano in contatto con la grande letteratura.
Tuttavia, la massa viene a contatto con la cultura attraverso il teatro (Verdi). Nell’800 si sviluppa anche la letteratura per l’infanzia (De Amicis, Collodi), che diventa veicolo di messaggi anche politici.
Lettera a Chauvet
- Nel 1820, scrive la lettera a Chauvet: si tratta di una lettera indirizza ad un critico francese che recensisce una tragedia manzoniana, il Conte di Carmagnola. Nel suo commento, Chauvet sottolinea che l’opera non rispetta le unità aristoteliche.
Si tratta del documento più importante rispetto alla poetica manzoniana perché afferma che, a differenza dei documenti storici, la poesia ha il potere di entrare nel cuore dei personaggi e veicolare lo spirito del tempo. Manzoni rivendica il carattere innovativo della sua scelta: vuole basarsi sul vero e ritiene che ci si debba ispirare alla realtà storica.
I personaggi sono visti come veicolo di una profonda riflessione che vada oltre la semplice successione di eventi che ci propone la storia. Attraverso l’immaginazione, inoltre, si possono ricostruire le idee e i pensieri dei grandi del passato
Lettera a D’Azeglio
- Nel 1823 scrive una lettera sul Romanticismo a D’Azeglio: si tratta del documento i cui vengono definiti i tre cardini della sue poetica:
- L’utile come scopo: la letteratura deve essere il veicolo di un messaggio di natura morale e politica;
- Il vero come soggetto: viene suddiviso in vero storico, legato agli eventi, e vero poetico, legato all’immaginazione dello scrittore. Possono essere distinte, inoltre, due tipologie di “vero”: il vero storico, legato agli eventi realmente accaduti, e il vero poetico, legato alla ricostruzione dei sentimenti da parte dell’autore.
- L’interessante come mezzo: se la letteratura vuole educare deve rivolgersi ad un pubblico più ampio.
Un esempio emblematico dell’applicazione di questi princìpi è la poesia “Il cinque maggio” contenuta all’interno delle Odi Civili.
DOC: “Il cinque maggio” (clicca qui per il testo)
La notizia della morte di Napoleone a Sant’Elena, il 5 maggio 1821, colpì profondamente Manzoni che, in preda a un furore compositivo per lui assolutamente inusuale, compose in pochi giorni l’ode.
Analisi:
- Le prime due strofe sono costruite su una similitudine.
- [v. 1] “Ei fu” La poesia si apre con un passato remoto, che dà l’idea della morte, già avvenuta, del protagonista;
- [v. 3] “la spoglia immemore” perché non viene ricordata più da nessuno: ormai anche Napoleone è stato sostituito.
- [v. 8] “uom fatale”, duplice significato: in primis perché scelto dal fato, e poi perché mortale, in quanto è stato un oppressore.
- [v. 14] “il mio genio”: si tratta qui dell’ispirazione artistica.
- nella quarta strofa sono enumerate le varie imprese di Napoleone.
- La quinta strofa propone una riflessione dal punto di vista cattolico, sottolineando l’imperscrutabilità del disegno divino.
- [dal v. 61] atteggiamento tipicamente romantico: Manzoni si immedesima nei pensieri di Napoleone, immaginando come possa aver trascorso i suoi ultimi istanti.
- [dal v. 85] celebrazione della fede cristiana: anche nel momento della massima disperazione Dio non si dimentica di lui.
Manzoni è anche autore di tragedie, e ne è un grande innovatore. E’ il primo a rifiutare le unità aristoteliche. Se dovesse farlo, i cardini della sua poetica, soprattutto il “vero”, sarebbero inevitabilmente inverosimili.
Nelle sue tragedie il coro presenta il pensiero dell’autore.
Adelchi
Anch’esso ispirato a vicende storiche, Adelchi (preceduta dal Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia) mette in scena la fine del dominio longobardo in Lombardia; Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio, è stata ripudiata da Carlo, re dei franchi; ai propositi di vendetta del padre e del fratello Adelchi replica chiedendo di potersi ritirare in convento.
Respinto un ultimatum di Carlo, tra franchi e longobardi scoppia la guerra (Atto I). Carlo è bloccato in val di Susa e medita di rinunciare all’invasione dell’Italia, ma il diacono Martino gli mostra un sentiero segreto per aggirare il nemico (Atto II). Adelchi confida il proprio disagio: l’obbedienza al padre e i suoi obblighi di principe lo costringono alla guerra contro il papa, impresa che ritiene sbagliata e senza onore. All’improvviso compare l’esercito dei franchi e i longobardi, colti di sorpresa, fuggono, mentre Desiderio e Adelchi proseguono la lotta, il primo a Pavia, il secondo a Verona.
Il coro osserva quanto sia ingenuo, per un popolo, sperare di recuperare la libertà grazie agli stranieri (Atto III).
Ermengarda giace malata in un monastero di Brescia; ancora innamorata di Carlo, quando apprende che il re si è risposato cade in delirio e muore. Il coro riassume la sua vicenda come un esempio di «provvida sventura». Intanto Pavia cade per opera di traditori e Adelchi, che ha rinunciato al suicidio, è condotto ferito alla presenza di Carlo, ormai vincitore, gli offre il proprio perdono e, dopo avergli raccomandato il vecchio padre, muore (Atto IV).
DOC: “Coro dell’atto III” (clicca qui per il testo)
Versi | Sviluppo Tematico |
1-18 | La prima parte del coro descrive le paure e le incertezze dei latini sullo sfondo di una patria in rovina. |
19-30 | La seconda rappresenta il dinamismo dei longobardi in fuga dinanzi all’incalzare dei franchi e il punto di vista del popolo latino, che osserva la battaglia e spera in una soluzione positiva per sé. |
31-54 | La terza narra la condizione dei guerrieri franchi, che hanno sopportato fatiche e disagi per conquistare la vittoria. |
55-66 | La quarta parte, di tono riflessivo, contiene l’esortazione del poeta ai latini: facciano ritorno al lavoro servile, due padroni si divideranno le ricchezze di un volgo privo di dignità e di virtù. Solo questo può essere il triste destino di chi non conquista autonomamente la propria libertà. |
Contenuto politico: immagina il distacco dei soldati franchi per liberare il popolo latino dall’occupazione longobarda. Riguarda l’illusione data da Carlo Magno: si tratta, in fondo, soltanto di una nuova dominazione.
Manzoni vive sotto la dominazione austriaca: sottolinea la necessità del processo Risorgimentale. Egli attualizza il passato, di conseguenza il motivo storico si fonde con il messaggio politico. Il poeta, con un’amara esortazione ai latini (“Udite!”, v. 31), evidenzia la vanità delle loro speranze, ma i destinatari reali del suo ammonimento sono gli italiani suoi contemporanei, affinché non contino sull’aiuto dello straniero ma prendano in mano le proprie sorti per il Risorgimento nazionale.
DOC: “La morte di Adelchi” (clicca qui per il testo)
La concezione del potere e la morale dell’«inazione»
Nella conclusione il dramma storico diventa dramma spirituale: Desiderio mostra tutto il suo dolore paterno dinanzi alla morte del figlio; Carlo, non più nemico, mostra magnanimità e mette da parte ogni sentimento di inimicizia (nemico mio… Con questo nome, Adelchi, / più non chiamarmi, vv. 367-368). Adelchi riscatta il proprio dissidio interiore nella morte, che gli arreca la pace negatagli sulla terra. Parlando al padre, egli espone la propria lucida visione del mondo e del potere, visti come un alternarsi ineluttabile di eventi (Ma tu, che preso / vivrai, vissuto nella reggia, vv. 340-341), e lo invita a godere di quegli anni che gli restano libero da responsabilità di potere, perché, essendogli preclusa la possibilità di agire, sarà immune dalle ingiustizie che il potere comporta (Godi che re non sei, godi che chiusa / all’oprar t’è ogni via, vv. 351-352).
La visione pessimistica della storia
Adelchi si fa portavoce della radicale pessimistica visione manzoniana: nel mondo esistono solo la violenza e l’ingiustizia; una forza crudele regola la storia e la si chiama diritto (Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto, vv. 354-356), di conseguenza l’uomo non può compiere il bene, può essere solo oppressore o vittima (non resta / che far torto, o patirlo, vv. 353-354). L’unica alternativa è Dio (che di tutto consola), la dimensione dell’eternità: “vengo alla pace tua” sono le ultime parole pronunziate da Adelchi, il cui sacrificio assomiglia a quello di Cristo, doloroso ma fecondo nella dimensione dell’eternità.
Lo stile
Il dialogo è solenne, le parole di Adelchi in particolare assumono il tono alto della sentenza e le frasi sono brevi ed essenziali.