Sofocle (497 a.C. – 406 a.C.)
Uno dei personaggi più amati del suo tempo, Sofocle nacque ad Atene, nel demo di Colono. Provenendo da una famiglia agiata, ricevette un’educazione di tipo aristocratico. Divenne amico dei grandi personaggi dell’Atene del suo tempo(Euripide, Protagora, Gorgia, Socrate, Fidia, Pericle…).Egli non fu soltanto un tragediografo: ricoprì anche cariche pubbliche. Fu presidente degli ellenotami custodi del tesoro della lega delio-attica, e nel 441 venne eletto stratego.
Era una persona estremamente religiosa: visse nel corso del V secolo, durante la peste, quando Atene diventa particolarmente devota al dio Asclepio (o Esculapio), il dio della medicina. Nel 480 venne scelto nel coro degli efebi per guidare il canto del peana in occasione della vittoria a Salamina.
Nel 406 chiede ai suoi coreuti di vestirsi a lutto per la morte di Euripide. Poco dopo però muore anche lui: Aristofane e Frinico testimoniano indirettamente la sua morte (Frinico pone l’accento sul fatto che fosse una morte serena).
LA TECNICA DRAMMATICA
Sofocle ha scritto 124 tragedie (oltre a qualche verso di un dramma satiresco), delle quali sono giunte fino ad oggi soltanto sette. Secondo gli antichi, scrisse anche un trattato sul coro, in cui spiega alcune delle sue innovazioni. A Sofocle è attribuita infatti l’introduzione del tritagonista (o terzo personaggio), oltre all’ampliamento del numero dei coreuti, da 12 a 15. Questa innovazione permise una maggiore partecipazione del corifeo al dialogo con gli attori, suddividendo il coro in due semicori. La tradizione, e in particolare Aristotele, gli attribuisce anche l’invenzione della scenografia, nel senso dell’impiego di pannelli di legno decorati con effetti illusionistici, per meglio captare l’attenzione del pubblico.
CARATTERISTICHE DELLE SUE OPERE
Le tragedie che Sofocle scrive sono principalmente tragedie indipendenti, in cui vengono riprese delle tematiche eschilee come la responsabilità individuale e il peso dell’appartenenza alla stirpe. La sua è una religiosità meno ottimista rispetto a quella eschilea: egli ribalta il rapporto tra conoscenza e sofferenza. Questo perché Sofocle conosce i momenti di grande difficoltà di Atene, vede gli dei lontanidalla realtà umana e gli uomini possono solo accettare la volontà divina.Queste contraddizioni del reale si traducono nella’uso di amfibolie tragiche,a sottolineare da subito le contraddizioni del reale.
Da πάθει μάθος a μάθει πάθος : il rapporto si ribalta, ed è la conoscenza che porta alla sofferenza. In questo modo Sofocle non risponde ad Eschilo, ma comunica che credere di poter sfuggire al proprio destino è un’illusione. La capacità dell’uomo sta però nel modo in cui affronta il proprio destino.
L’esempio lampante è proprio Edipo, che dall’essere l’uomo più felice diventa quello più infelice.
Edipo Re
Già nel prologo compare la prima amfibolia, nella parola “figli”, che percorre tutta la tragedia. Questi “figli” sono gli abitanti di Tebe: Edipo si propone come il buon re che ha il potere di escogitare un rimedio al male presente. Ma la parola non può che rimandare alle complicate vicende che saranno al centro della tragedia.
Allo stesso modo, il binomio vista/cecità è sempre presente, soprattutto nel contrasto tra Edipo e Tiresia. L’indovino è effettivamente non vedente, ma in grado di vedere oltre, e quindi di conoscere la verità. È dunque Edipo ad essere privo della vista, in quanto non vede la realtà delle cose.
Infatti, quando l’indovino gli rivela una verità che non è pronto ad accettare [dal v. 362] , egli lo insulta aggrappandosi alla verità che conosce da sempre.
Il tema dell’oracolo [introdotto al v. 92] è sempre incombente nelle vicende di Edipo, ed esprime il tema del destino immutabile: l’uomo non può contrastarlo, pur illudendosi di farlo. L’unica scelta che gli spetta è la modalità in cui affrontarlo.
La conclusione
Come l’accettazione, anche la rivelazione è graduale. Giocasta comprende per prima quanto accaduto [v. 1056] e cerca di allontanare Edipo dalla sua indagine, senza riuscirci. Quando la consapevolezza è completa, nell’esodo [v.1224], Edipo decide di togliersi la vista con la spilla della madre (sarebbe stata troppo semplice e priva di sofferenza la morte). Giocasta decide invece di suicidarsi nel modo considerato più adatto alle donne perché meno virile: si impicca.
Sempre nell’esodo compare la parola δεινά, aggettivo che rappresenta una vox media: “terribile”, ma anche “meraviglioso”.
Nella conclusione il dolore di Edipo viene sottolineato con forti immagini e metafore. Emerge l’idea che la vita possa cambiare in qualsiasi momento e che non bisogna dare nulla per scontato. Edipo diviene consapevole del destino nefasto che toccherà ai propri figli. Sofocle sottolinea l’idea che nessun uomo viva nella totale felicità, nemmeno coloro che sembrano avere tutto, perché nemmeno la ricchezza assicura la felicità.