Il pensiero di Martin Heidegger (1889 – 1976) si concentra soprattutto su due concetti: la critica della razionalità occidentale e la critica della metafisica. Heidegger punta a recuperare la centralità del problema del senso dell’essere, che rappresenta un filo conduttore del pensiero occidentale. Egli analizza dunque su due questioni: Qual è il senso dell’essere? Perché l’essere e non il nulla?
Il suo percorso filosofico può essere suddiviso in due fasi:
- La fase “esistenzialistica” (opera più importante: Essere e tempo, 1927). In questa fase Heidegger compie un’indagine sull’uomo, sul suo “essere nel mondo” e sulle domande di senso che quest’ultimo si pone nel corso della sua vita. [1920-30]
- La “svolta”, così definita dallo stesso autore. (opera più importante: Sentieri interrotti, 1950). È una fase in cui il pensiero diventa “ultrametafisico”, concentrandosi sul superamento dell’oblio dell’essere. In questo periodo viene analizzato l’errore della metafisica occidentale, con particolare attenzione al linguaggio e alla poesia. [1930-60]
E’ importante analizzare anche il metodo usato dal filosofo, che risulta inscindibile dalla questione sull’Essere. Per Heidegger la ricerca è un viaggio, un movimento a spirale sempre in direzione dell’essere. Per compiere questo viaggio è necessario recuperare lo stupore che nasce davanti all’Essere, assumere l’atteggiamento dell’ascolto della “voce dell’essere”. Questo concetto si riflette anche nel linguaggio, in quanto è possibile recuperare l’originale significato delle parole attraverso l’etimologia.
Lo stile di Heidegger viene definito “oracolare”; il suo è un pensiero inquieto e problematico, altamente complesso, espresso attraverso discorsi oscuri e quindi spesso ritenuto impenetrabile.
LA FASE ESISTENZIALISTICA
La filosofia viene concepita come ricerca del senso dell’essere, a partire da una domanda fondamentale: “Perché l’essere e non il nulla?”. Per rispondere a questa domanda non si può non prendere il considerazione il soggetto che si pone questo tipo di domande: l’uomo. Heidegger prosegue dunque analizzando le strutture costitutive dell’essere, a partire dalla stessa esistenza umana, analizzata da molti altri filosofi in epoche precedenti.
Heidegger la definisce nei seguenti modi:
- “Esser-ci”, essere qui e ora (-ci), essere di un singolo, non di un genere. Questo tipo di esistenza è irriducibile al mondo delle cose, poiché in quel caso si tratta di realtà statiche
- “Essere-nel-mondo”, nel senso di una apertura verso gli altri esseri. Mentre gli oggetti vengono considerati in base all’utilizzabilità, l’uomo consiste nell’essere-con-altri.
- “Pro-gettualità”, trascendimento di sé nell’ottica di un oltrepassamento della realtà data.
Egli distingue, inoltre, tre strutture dell’esistenza:
- L’atteggiamento teoretico: comprendere. Si tratta di un circolo ermeneutico [dal gr. ἑρμηνευτικός, der. di ἑρμηνεύω «interpretare»], un rapporto e una reciproca trasformazione tra:
- Pre-nozioni (ovvero il sapere precedente): sono schemi e categorie tramandati dalla tradizione, costitutivi dell’essere e indipendenti dalla specificità dell’essere.
- Interpretazione (ovvero il sapere emergente): riguarda i significati specifici delle realtà particolari e prevede elaborazione e modificazione
Ne consegue che per appropriarsi di ciò che viene tramandato dalla tradizione è necessaria una decostruzione, una riconsiderazione critica e una riscoperta del senso dell’essere.
Una conoscenza abbastanza valida può essere ottenuta solo per approssimazione, i dati e il modo di leggerli interferiscono; il circolo ermeneutico non ha una via d’uscita.
- L’atteggiamento pratico: aver cura. Significa preoccuparsi delle cose per il loro uso e la loro manipolazione. In questo atteggiamento risiede però il rischio di perdersi e diventare una cosa tra le cose, di una caduta totale nel mondo. Il rischio, cioè, di un’alienazione dell’individuo dalla propria esistenza. Ma questo atteggiamento significa anche aver cura degli altri.
- L’essere-gettato, legato alla temporalità. L’esser-ci (l’uomo) non ha scelto di stare nel mondo, tuttavia è condizionato dal contesto storico-sociale. Egli crea dunque dei progetti rivolti verso il futuro per cambiare questa situazione, ma per farlo è condizionato dallo stesso passato che vuole oltrepassare. L’esser-ci si manifesta quindi come temporalità, poiché allo stesso tempo si proietta nel futuro, è condizionato dal passato e si disperde nel presente.
L’atteggiamento nei confronti della temporalità può assumere due forme:
- La prima, quella dell’esistenza inautentica consiste nella banalità della vita quotidiana, nel conformismo e nella perdita di un’identità personale; il conformismo diventa anche morale e si riflette nella banalità dei valori. Optando per questo atteggiamento si ha una considerazione superficiale della realtà, tipica di una società tecnica in cui prendono forma i progetti distruttivi dell’uomo.
- L’esistenza autentica si basa invece sulla consapevolezza dell’inevitabilità della morte, certa e incondizionata. Si tratta di un “essere-per-la-morte”, che pone l’uomo di fronte al nulla dal quale proviene (esistere = ex-sistere = “venir-fuori-da”). E’ una decisione anticipatrice, la “possibilità dell’impossibilità di tutte le possibilità”, in cui la morte viene vissuta come una possibilità permanente, nell’ottica di un’accettazione del proprio destino (amor fati)
Questo secondo tipo di esistenza porta con sé un’angoscia dovuta all’avvertimento del senso del nulla. Ma attraverso essa è anche possibile ritrovare il proprio destino, un acquisto pieno delle proprie possibilità. Anche il passato riacquisisce un significato in questa dimensione temporale in cui si prende distanza dalla vita nell’alienazione.
LA SVOLTA
Le ragioni della svolta (in tedesco: “kehre” risiedono nella differenza ontologica tra l’Essere e l’Esser-ci, poiché “l’essere non è l’ente”. Heidegger afferma quindi che sia impossibile trovare l’essere a partire da colui che si pone la domanda. L’essere si nasconde e si mostra, si ha dunque necessità di un’analisi dal punto di vista dell’essere.
Heidegger individua un’insufficienza nel modo in cui la tradizione metafisica occidentale ha indagato l’essere, considerando come un ente di fronte allo sguardo dell’osservatore. Lo schema proposto da Platone in poi si può schematizzare nel seguente modo:
Ne consegue un oblio dell’essere, che consiste nell’eliminazione di tutto ciò che non è riducibile a ente. Ma soprattutto, ne consegue un primato del soggetto sempre più evidente nella storia della filosofia (da Platone, a Cartesio fino ad arrivare a Kant).
Questo percorso viene inoltre consolidato dalla rivoluzione scientifica e dal primato di un pensiero calcolante, una razionalità scientifica e tecnica tipicamente occidentale e tipicamente moderna.
L’uomo deve però abbandonare il pensiero calcolante a favore di un pensiero rammemorante, un pensiero ultra-metafisico. Deve abbandonare l’umanesimo per il recupero della centralità dell’essere, accettando di dover considerare se stesso non come padrone ma come pastore dell’essere, poiché è la vicinanza dell’essere all’uomo a definire lo stesso uomo.
Inoltre, la ricerca dell’essere va compiuta nel e attraverso il linguaggio, imponendo un predominio del sentire e del parlare su quello del vedere tipicamente metafisico, “disponendosi all’ascolto dell’essere”. Questo è dovuto al fatto che il linguaggio è la “casa” dell’essere, il modo in cui l’uomo “va alle cose”, è un dire originario, che fa emergere le cose nella loro verità.
In quest’ottica la poesia e l’arte rappresentano un’apertura dell’essere. Differentemente da quanto sostenuto dal Romanticismo e dall’Idealismo, l’opera d’arte non esprime un’epoca, ma la costituisce, e parla dell’essere senza oggettivarlo o classificarlo (come fanno, invece, il linguaggio scientifico e quello filosofico).