BIOGRAFIA
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto il 10 febbraio 1888 da genitori toscani. Il padre lavorava in quegli anni al Canale di Suez, nato per motivi commerciali, e morì prematuramente a causa di un incidente sul lavoro.
Alessandria d’Egitto era in quel periodo un “melting pot” che risentiva fortemente della cultura francese, cuore della cultura mondiale.
Nel 1912 si recò a Parigi, dove iniziò a seguire le lezioni di Bergson e dove conobbe avanguardisti come Apollinaire e Picasso, ma anche letterati e artisti italiani, tra cui il futurista Palazzeschi, De Chirico e Savinio.
Nel 1914, allo scoppio della guerra, andò in Italia per arruolarsi. Nelle idee dei giovani la guerra avrebbe dovuto porre fine alle ingiustizie dell’ottocento e costituire l’inizio di un periodo di pace. Inizialmente venne arruolato in un battaglione d’infermeria ma, come spiega in una lettera del 1914 a Prezzolini, lui voleva andare a combattere al fronte per sentirsi più italiano.
Nel 1916 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Il porto sepolto, ampliata nel 1919 e pubblicata con il titolo Allegria di naufragi. Con l’edizione del 1931 il titolo venne definitivamente cambiato in L’Allegria.
In una pubblicazione del 1923, a testimonianza della sua adesione al primo fascismo, la prefazione venne firmata da Mussolini.
Dopo la fine della guerra, nel 1920, sposò a Parigi Jeanne Dupoix, con la quale ebbe due figli, Ninon e Antonietto. Nel 1921 tornò a Roma, ma compì fino al 1936 frequenti viaggi. Tra il 1937 e il 1942 visse a Brasilia, dove insegnava lingua e letteratura italiana all’università. Ungaretti considerava questo periodo il peggiore della sua vita a causa della morte del figlio nel 1939.
Nel 1942, dopo essere tornato in Italia, venne nominato professore alla Sapienza e ricevette numerose lauree honoris causa da varie università italiane e straniere. A causa del suo legame con il fascismo, dopo la fine della guerra, gli venne però negato il diritto di insegnare.
Morì nella notte tra il 1° e il 2 giugno del 1970.
L’ALLEGRIA
Il primo titolo della raccolta, “Il porto sepolto”, alludeva a una leggenda diffusa in Egitto sull’esistenza di un porto sommerso nei pressi di Alessandria, ma si riferiva anche al mistero della vita e delle sue origini. “Allegria di naufragi”, invece, indica che l’esistenza è un susseguirsi di eventi nefasti intermezzati da pochi momenti felici.
I temi principali dell’opera sono la guerra e lo sradicamento a cui vengono affiancati la rievocazione dell’infanzia egiziana del poeta e il tema della natura.
“In memoria”
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La raccolta si apre con la poesia “In memoria”, dedicata al defunto amico Moammed Sceab. In questo incipit vengono presentati alcuni temi essenziali di tutta la raccolta, tra cui quello dell’uomo che smarrisce le sue origini. Moammed infatti, al pari di Ungaretti, nacque in una regione nordafricana e venne poi trapiantato in Francia. La differenza tra i due è che Moammed non riuscì mai a ricostruirsi un’identità e sopraffatto dalla desolazione e dalla sensazione di sradicamento si uccise, mentre Ungaretti riuscì a trovare uno sfogo nella poesia.
“In memoria” lascia emergere il valore assegnato da Ungaretti alla parola, che deve essere in grado di descrivere ciò che prova l’uomo per dare un senso all’esperienza e permettergli di riconoscere la propria identità.
Inoltre, questa poesia costituisce un chiaro esempio dell’essenzialità espressiva ungarettiana. La metrica tradizionale e la sintassi vengono stravolte e la punteggiatura viene eliminata. Ungaretti compie inoltre una scelta formale per cui preferisce l’uso dei participi, espressioni del divenire, all’uso degli aggettivi, che esprimono invece staticità. Ciò non è dovuto solo allo scopo del poeta di trovare l’essenza della poesia scarnificando la parola, ma anche dalla condizione estrema in cui si trovava mentre scriveva le sue poesie: la guerra di trincea (cfr. Il notturno, D’Annunzio).
Infine, viene evidenziata l’importanza dell’uso dei tempi verbali: il passato remoto viene affiancato all’imperfetto (ex. vv. 10-14) sottolineando la contrapposizione tra fulmineità e continuità (Fu Marcel/ma non era francese).
Risulta dunque chiara l’influenza dei simbolisti e dei futuristi: il poeta deve trovare un rapporto tra il valore fonico ed evocativo delle parole così da comunicare le proprie sensazioni in modo non fraintendibile. Le parole non hanno infatti solo un campo semantico, ma anche un potere evocativo legato per proporzionalità diretta alla cultura in cui viene espresso e all’esperienza dei singoli (Lettera a De Robertis).
“I fiumi”
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Quando questa poesia venne composta, Ungaretti era impegnato nella guerra di trincea che venne combattuta nella valle dell’Isonzo. Immergendosi nel fiume, ricorda i fiumi che hanno segnato la sua vita: il Serchio, nella Lucchesia, terra in cui vissero i suoi antenati contadini e i suoi genitori, il Nilo, in Egitto, dove nacque e dove passò l’infanzia, e la Senna, che gli porta alla mente il periodo della sua formazione.
Ripercorrendo la sua vita il poeta riesce a prendere coscienza di sé e della propria identità, che è un’identità meticcia, composta di molteplici culture. I fiumi si mescolano nell’Isonzo e scorrono unificati nella nostalgia.
La strofe iniziale e quella finale fungono da cornice dell’intero componimento. Non solo esse sono le più lunghe, ma si riferiscono anche al momento in cui il poeta ripensa alla sua immersione nell’Isonzo, rendendo il componimento ciclico.
“Italia”
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Con Italia, Ungaretti definisce i termini del rapporto tra il ruolo del poeta e il sentimento della nazione. Il componimento vuole essere una risposta positiva alla morte di Moammed Sceab, uomo sradicato e senza patria. In questa poesia viene definita l’identità nazionale dell’autore, che nasce dall’incrocio di molteplici culture ed è perciò meticcia, come già esplicitato nei Fiumi, e che è resa possibile dall’uniforme che indossa: il combattere per la nazione rende Ungaretti italiano.
“Soldati”
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La poesia descrive la precarietà dell’esistenza di un soldato, che viene paragonato alle foglie in periodo autunnale. Come queste sono attaccate agli alberi ma pronte a cadere in ogni momento, i soldati combattono per la loro patria con la consapevolezza che la morte incombe su di loro. (cfr. Omero, Mimnermo).
“Fratelli”
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Questo componimento si concentra sull’inumanità della guerra e sulla possibilità di combatterne la solitudine attraverso la fratellanza transnazionale tra soldati. Ungaretti non si rivolge unicamente ai suoi commilitoni, ma incita un’involontaria rivolta contro le gerarchie militari includendo i suoi avversari nell’apostrofe con cui conclude la poesia (“Fratelli”).
Il titolo viene ripetuto all’inizio e alla fine del componimento con accezioni diverse: inizialmente l’espressione viene utilizzata all’interno di una semplice domanda (Di che reggimento siete/fratelli?), mentre alla fine si ripresenta senza un legame sintattico con il discorso precedente e con tutta la sua forza semantica.
“Veglia”
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In questa poesia Ungaretti descrive una macabra veglia funebre: il suo compagno è morto e il poeta rimane accanto a lui tanto a lungo da condividere con lui l’esperienza della morte. La visione suscita in lui amore per la vita e lo porta a scrivere lettere piene d’amore. La scrittura diventa quindi l’arma del poeta-soldato per rispondere all’orrore della guerra e della morte.
Ungaretti fa qui ampio uso del participio passato, attraverso cui è possibile esprimere lo svolgersi dell’azione, poiché come detto, contrariamente all’aggettivo, ha in sé una natura dinamica.
“San Martino del Carso”
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In questa poesia, il cui titolo riprende una delle zone più colpite dalla guerra, c’è una forte analogia tra la distruzione del paese e la devastazione del cuore del poeta. L’orrore della distruzione e della morte è al centro della scena. Nella seconda strofe, infatti, Ungaretti scrive che dei suoi commilitoni è rimasto ancor meno delle case nelle città, ridotte ormai a brandelli.
“Il porto sepolto”
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Il titolo della poesia, che dà anche il nome alla raccolta, fa riferimento a un misterioso porto esistito in Egitto ancor prima di Alessandro Magno. Esso è parte integrante del componimento, che inizia con “Vi arriva il poeta”.
Nella prima strofe c’è un forte riferimento alla cultura classica e, in particolare, alla Sibilla che, dopo aver scritto le sue profezie su delle foglie, le disperdeva al vento. Allo stesso modo il poeta, dopo aver scritto la sua poesia (o i suoi canti), li disperde e rimane con un nulla d’inesauribile segreto. Con ciò egli intende dire che quanto rimarrà a chi leggerà i suoi versi sarà un senso di ambigua indeterminazione.
Il principale tema del testo è la tensione verso le origini dell’esistenza, che il poeta può ritrovare soltanto dentro di sé ed esprimere attraverso la poesia. Ciò nonostante il frutto della sua ricerca deve essere disperso, così egli può tornare ad uno stato di innocenza che rende possibile la creazione (cfr. Virginia Woolf).
Un secondo tema è quello della lotta tra l’uomo e il tempo (cfr. Eugenio Montale, Non recidere forbice quel volto).