In questa videolezione parleremo di Lucio Anneo Seneca, uno degli autori più mportanti dell’età imperiale, poiché ha dato un ampio contributo alla produzione letteraria e al pensiero filosofico del suo tempo.
- come letterato: Insieme a Cicerone, è il rappresentante più illustre della prosa filosofica latina ed è l’unico poeta tragico di cui ci siano pervenute integralmente le opere.
- come filosofo: fu esponente di spicco della dottrina filosofica dello stoicismo, di cui riprese e interpretò i precetti alla luce della Roma imperiale, cercando di metterli in pratica in prima persona come consigliere dell’imperatore
BIOGRAFIA
Lucio Anneo Seneca nasce nel 4 d.C. a Cordova, in Spagna, da una famiglia benestante di rango equestre. È figlio di Seneca il Vecchio, autore di un’opera sulle forme della retorica del suo tempo. Viene presto mandato a Roma, dove riceve un’ottima educazione nelle scuole di retorica e filosofia. Si inserisce presto nella vita politica e intraprende il cursus honorum: riveste la carica di questore, e si distingue per le sue qualità oratorie. È negli anni della formazione che Seneca si avvicina alla dottrina filosofica dello stoicismo, che ritroviamo in tutta la sua produzione.
I rapporti con gli imperatori si rivelano però difficili fin dall’inizio: Caligola lo condanna a morte, mentre nel 41 d.C. viene condannato da Claudio alla relegatio in Corsica per l’accusa di coinvolgimento nell’adulterio con la sorella di Caligola, Giulia Livilla. È negli anni della relegatio che Seneca compone la Consolatio ad Helviam matrem e la Consolatio ad Polybium.
- Nella prima, l’autore si rivolge alla madre lontana, e afferma che l’esilio non è un male e che non può privare l’uomo della virtù: secondo la dottrina stoica, infatti, il sapiente ha come patria il mondo intero.
- La Consolatio ad Polybium, invece, è dedicata ad un potente liberto dell’imperatore Claudio che ha perduto il fratello. L’opera, però, non è che un pretesto letterario per adulare Claudio e ottenere il richiamo dall’esilio: accanto ai motivi del dolore e della perdita troviamo un vero e proprio elogio dell’imperatore.
Seneca ottiene il rientro a Roma nel 49 grazie all’intercessione della seconda moglie di Claudio, Agrippina, che lo vuole precettore del figlio e futuro imperatore Nerone.
All’anno del rientro a Roma risale il De brevitate vitae, un trattato filosofico sul problema del tempo e della sua fugacità. A detta di Seneca, gli uomini si lamentano del tempo concesso loro dalla natura, ma la brevità della vita è solo apparente: la maggior parte di noi, infatti, la spreca e la disperde in occupazioni vane senza accorgersene. Al contrario, il vero sapiente sa fare buon uso del tempo dell’esistenza attraverso la ricerca della saggezza.
LA SVOLTA DEL 54
Il 54 d.C. è un anno di svolta: è l’anno in cui Nerone diventa imperatore. I primi cinque anni del suo governo sono noti come “quinquennio felice”: sotto la guida di Seneca e del prefetto Burro, infatti, il principato si distingue per l’equilibrio e per i buoni rapporti tra i poteri del Senato e del Principe. Il periodo trascorso al servizio del potere si riflette in una buona parte delle opere di Seneca, che ripone nel nuovo imperatore la speranza che possa essere un sovrano giusto e moderato.
L’esempio più chiaro è il De clementia, dedicato proprio al neo imperatore. Seneca prende atto del fatto i valori repubblicani della propaganda di Augusto siano ormai lontani, e che il principato sia di fatto una monarchia assoluta. Di conseguenza, la virtù politica più adatta al regime è la clementia, che consiste nella moderazione e nell’indulgenza con cui il principe regola i rapporti con i sudditi. Essa rappresenta l’unico freno nel contesto di un potere assoluto, ed è ciò che distingue il buon sovrano dal tiranno. Attraverso la clementia, inoltre, il sovrano ottiene il consenso dei sudditi, che è la garanzia più sicura per la stabilità dello Stato.
Questo trattato proietta sul nuovo princeps un programma politico ideale, ispirato alla moderazione e all’equità. Qui, la guida dello Stato è affidata alla coscienza del principe, che si forma grazie alla filosofia. Eppure, la posizione di potere che Seneca occupa a corte lo porta ad accumulare una grande ricchezza, e il filosofo si attira presto l’accusa di incoerenza a causa del divario tra la dottrina professata e lo stile di vita lussuoso che invece conduce.
Per rispondere alle critiche, Seneca scrive il De vita beata, in cui riprende l’idea stoica secondo cui il sommo bene consiste nella virtù, e non nel piacere o nell’agiatezza. Il vero sapiente, pertanto, non ama e non ricerca la ricchezza, ma è legittimato a possederla se viene usata per ricercare ed esercitare la virtù.
Nemo sapientiam paupertate damnavit: “nessuno ha condannato la saggezza alla povertà”.
LA DELUSIONE POLITICA E IL RITIRO
Ma le aspettative politiche dell’autore vengono presto deluse e Nerone si rivela un reggitore dispotico: fa uccidere Britannico, figlio di Claudio e della prima moglie Messalina, e persino la propria madre, Agrippina. Impotente in una situazione politica ormai degenerata, nel 62 Seneca si ritira definitivamente a vita privata per dedicarsi agli studi e alla filosofia (il cosiddetto “secessus”).
All’anno del ritiro dalla scena politica e agli ultimi anni della sua vita risalgono altre importanti opere:
- Il De otio, dedicato all’amico Anneo Sereno, viene scritto probabilmente nel 62, e tratta del problema della scelta da parte del sapiente tra impegno politico e la vita dedicata alla riflessione. Qui la scelta dell’otium, e cioè della vita appartata, viene rivendicata, e appare forzata e necessaria, perché il contesto politico non permette al saggio di agire per giovare agli altri.
- Lo stesso tema era stato affrontato prima del 62 nel De tranquillitate animi, in cui il filosofo conciliava partecipazione politica e otium proponendo invece un atteggiamento flessibile e mutevole in base alle condizioni politiche.
- I sette libri del De beneficiis, terminato nel 64 e dedicato all’amico Ebuzio Liberale, riguardano le forme e le modalità degli atti di beneficenza e il legame tra benefattore e beneficato. Il beneficio è qui presentato come fondamento della convivenza civile e dell’armonia di una società.
- Le Epistulae ad Lucilium sono forse l’opera più celebre di Seneca. Si tratta di una raccolta in venti libri di 124 lettere su vari temi, indirizzate al giovane amico Lucilio Iuniore. Sul modello delle lettere agli amici di Epicuro, le epistole di Seneca rivestono una funzione educativa. Esse sono dunque uno strumento di crescita, in cui l’esperienza quotidiana è lo spunto da cui trarre riflessioni e insegnamenti utili sul piano della morale. Le lettere scandiscono le tappe e i progressi di Lucilio verso il perfezionamento morale, che coincide con la scelta dell’otium e la ricerca della sapientia. Qui Seneca non si pone come un maestro severo e intransigente, ma assume l’atteggiamento di chi è consapevole di essere ancora lontano dalla meta. Accanto all’esortazione al bene e alla filosofia, nelle Epistulae sono affrontati diversi temi, tra cui la ricerca del vero bene, cioè la virtù, il necessario distacco dalle passioni terrene, il tempo, la morte e la conquista dell’autarkeia (αὐτάρκεια), ovvero l’autosufficienza spirituale.
LA PRODUZIONE FILOSOFICA
Tra le altre opere filosofiche di Seneca ricordiamo:
- Il De constantia sapientis, che esalta la fermezza e l’imperturbabilità del saggio stoico di fronte alle avversità
- Il De ira, in tre libri, in cui Seneca si occupa di indagare le passioni umane, i loro meccanismi e i modi per dominarle. In particolare l’ira, a cui è dedicato il terzo libro, in accordo con la dottrina stoica, non è mai ritenuta utile, perché offusca la ragione e va dominata.
- Il De providentia, dedicato a Lucilio, in cui si risolve l’apparente contraddizione tra la teoria stoica del provvidenzialismo e il fatto che i mali colpiscano anche i buoni. La soluzione proposta da Seneca è che le ingiustizie sono il modo in cui la volontà divina mette alla prova la virtù.
La produzione di opere filosofiche percorre tutto l’arco della vita di Seneca e ne riflette le tappe, dal periodo al fianco di Nerone al ritiro alla vita contemplativa. Esse riprendono e trattano le tematiche dello stoicismo, la corrente filosofica a cui Seneca aderisce. La trattazione filosofica, però, non viene svolta in modo astratto e speculativo, bensì con una grande attenzione alla condotta morale e alle ricadute sulla vita pratica. Lo stile delle opere filosofiche è funzionale all’efficacia espressiva: nell’intento di riprodurre la lingua parlata, (sermo cotidianus) la sua prosa è caratterizzata da periodi frammentati, antitesi, parallelismi e ripetizioni, e la tecnica della sententia finale per fissare un concetto.
ALTRE OPERE
Accanto alla produzione filosofica si collocano anche opere di altra natura. Diamo una scorsa ad alcune delle altre opere attribuite all’autore latino:
- In questo elenco troviamo le cosiddette Naturales quaestiones, un’opera scientifica in sette libri sui fenomeni naturali, celesti e meteorologici.
- Ad esse si aggiungono 9 tragedie cothurnatae di argomento mitologico greco, che riprendono in parte i temi delle opere filosofiche e li mettono in scena attraverso il mito. Protagonista delle tragedie è il conflitto tra bene e male, dipinto su uno scenario cupo e macabro, e reso con una drammaticità esasperata e molto espressiva.
- Una tragedia praetexta, l’Octavia, riguarda la morte della prima moglie di Nerone, che l’imperatore fece uccidere per sposare Poppea. Quest’opera, però, generalmente non viene ritenuta autentica.
- Infine, l’Apokolokyntosis, un componimento parodico sulla morte e la divinizzazione dell’imperatore Claudio, che viene rifiutato dagli dei e spedito negli Inferi come tutti i mortali. Il titolo è da intendere ironicamente come “divinizzazione di una zucca”, o meglio “di uno zuccone”. L’opera si inserisce nel genere della satira menippea, un particolare tipo di componimento che alterna prosa e versi sfruttando un tono ironico e una grande varietà di situazioni.
GLI ULTIMI ANNI E LA CONDANNA A MORTE
Nel 65, Seneca viene coinvolto nella cosiddetta “congiura di Pisone”, un complotto contro Nerone ordito da oppositori politici tra cui anche letterati come Seneca e suo nipote Marco Anneo Lucano; scoperta la congiura, il filosofo viene condannato a morte dall’imperatore e si suicida nello stesso anno, recidendosi le vene e bevendo un veleno sull’esempio di Socrate.
La morte di Seneca viene raccontata dallo storico Tacito nei suoi Annales, che di lui scrive:
“Rivolto agli amici, poiché gli veniva impedito di mostrare la propria riconoscenza, lasciava loro l’unico bene che possedeva, e tuttavia il più bello, l’immagine della sua vita, e se di questa avessero conservato il ricordo, avrebbero trovato nella fama delle buone arti il premio della loro salda amicizia.”
Conversus ad amicos, quando meritis eorum referre gratiam prohiberetur, quod unum iam et tamen pulcherrimum habeat, imaginem vitae suae relinquere testatur, cuius si memores essent, bonarum artium famam tam constantis amicitiae [pretium] laturos.
L’eredità di Seneca non si esaurisce nella produzione letteraria e nel contributo filosofico, che influenzeranno gli autori di ogni tempo fino ai nostri giorni, ma è la preziosa testimonianza di una vita tesa alla continua ricerca del perfezionamento morale e dell’equilibrio.
Nelle Epistulae Seneca scrive: Animum debes mutare, non caelum. Il vero modo per cambiare la propria sorte e trovare la virtù è lavorare per cambiare se stessi.