VITA (100 a.C. – 44.a.C.)
Caio Giulio Cesare nacque a Roma nel 100 a.C. presso una famiglia patrizia di antichissima nobiltà. In gioventù trascorse un lungo periodo in Asia, dove servì nell’esercito e cominciò la propria carriera militare. Dopo la morte di Silla (78 a.C.), tornò a Roma e intraprese la strada politica e forense. Seguendo le tappe del cursus honorum, Cesare fu questore, edile, pontefice massimo, pretore e propretore della Spagna Ulteriore.
Nel 60 strinse con Pompeo e Crasso un accordo privato segreto, il cosiddetto “primo triumvirato”; che prevedeva una vera e propria spartizione del potere. L’anno successivo, infatti, Cesare rivestì il consolato e avviò un consistente programma di riforme, prevaricando il collega M. Calpurnio Bibulo. Nel 58 a.C. ottenne poi il proconsolato in Gallia Cisaplina e Narbonese e in Illiria. Nel 56 a.C., con gli accordi di Lucca, il proconsolato gli fu rinnovato per altri cinque anni.
Guerra civile e assassinio
Le campagne in Gallia furono un’occasione straordinaria per esercitare le proprie qualità militari e accrescere la propria popolarità a Roma. Presentandola come un’operazione difensiva e preventiva, Cesare intraprese e portò a termine in sette anni la sottomissione delle popolazioni celtiche. La conquista delle Gallie gli garantì un enorme potere personale e, di conseguenza, un’ostilità sempre maggiore da parte dei suoi avversari. Ostacolato nel tentativo di ottenere un secondo consolato, nel 49 a.C. Giulio Cesare invase l’Italia con le sue legioni e passò il fiume Rubicone, allora pomerium (confine sacro e inviolabile) di Roma: iniziò così una guerra civile.
Seguirono le battaglie di Farsalo (48 a.C.), Tapso (46 a.C.) e Munda (45 a.C.), in cui Cesare sconfisse l’esercito senatorio guidato da Pompeo. Divenuto padrone assoluto di Roma, Cesare ricoprì contemporaneamente dittatura e consolato a partire dal 49 a.C.. Nel 44 a.C., poco dopo la proclamazione a dictator perpetuus (dittatore a vita), fu assassinato.
OPERE
Caio Giulio Cesare è stato uno dei protagonisti militari e politici più importanti della storia di Roma, ma fu anche autore di molte opere di diversa natura. Ci sono giunti conservati integralmente i Commentari de bello Gallico, il resoconto delle campagne in Gallia, e i Commentari de bello civili, che raccontano le vicende della guerra civile contro Pompeo.
Tuttavia, ci sono note dalle fonti e attraverso alcuni frammenti della tradizione indiretta molte altre opere andate perdute, tra cui diverse orazioni e componimenti poetici giovanili, il De analogia (un trattato sulle questioni di lingua e stile), una tragedia intitolata Oedipus e molte altre. Sono note poi anche alcune opere spurie, tra cui spicca l’VIII libro del De bello Gallico, scritto probabilmente dal luogotenente di Cesare Aulo Irzio.
Cos’è un commentarius?
Un commentarius è propriamente una raccolta di appunti, di “schizzi preparatori”, destinati agli usi più diversi. Ad un certo punto, però, si iniziò ad usare questo termine per riferirsi specificatamente ai resoconti che i magistrati stilavano degli atti e degli eventi principali del proprio mandato. In età repubblicana, molti uomini politici scrissero commentarii per raccogliere i momenti più importanti della propria carriera politica e militare: Silla e Cicerone sono solo due tra gli esempi più noti. In questo senso, si tratta di un genere a metà tra la raccolta di materiali “grezzi” (appunti e annotazioni personali) e la storiografia vera e propria, che prevede una prosa arricchita da ornamenti stilistici e retorici. Nei Commentari di Cesare, per esempio, celati da un’ammirabile sobrietà, trovano spazio la drammatizzazione delle scene, il ricorso al discorso diretto e molti altri espedienti che arricchiscono e conferiscono efficacia drammatica ai punti più salienti dell’opera.
De bello Gallico
I Commentari de bello Gallico sono probabilmente l’opera più celebre di Giulio Cesare, e costituiscono il resoconto della campagna in Gallia. I sette libri di cui consta l’opera coprono l’arco di tempo che va dal 58 al 52 a.C., cioè dall’arrivo di Cesare e delle sue truppe nel territorio celtico alla sua graduale e sistematica sottomissione. Di seguito il contenuto dei libri:
Libro | Anno | Contenuto |
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I | 58 a.C. | Descrizione etno-geografica della Gallia; campagne contro gli Elvezi (battaglia di Bibracte) e contro i Germani guidati da Ariovisto, ricacciati oltre il Reno; |
II | 57 a.C. | Campagne contro i Belgi, i Nervi e gli Aduàtuci; |
III | 56 a.C. | Campagna contro i Veneti, stanziati nell’attuale Bretagna; sottomissione di popolazioni sulla Manica, in Aquitania e nella Gallia Belgica; |
IV | 55 a.C. | Campagna contro popolazioni germaniche (Usìpeti e Tèncteri); incursione in Germania; spedizione in Britannia; |
V | 54 a.C. | 2° spedizione in Britannia; rivolte nella Gallia Belgica; excursus etno-geografico sulla Britannia; excursus etno-geografico su Galli e Germani |
VI | 53 a.C. | Campagne contro le popolazioni galliche in rivolta; 2° incursione in Germania; |
VII | 52 a.C: | Repressione della rivolta della coalizione di popolazioni galliche guidata da Vercingetorige (battaglia di Alesia); |
Datazione ed evoluzione stilistica
Secondo alcuni studiosi, l’opera sarebbe stata scritta di getto nell’inverno del 52-51 a.C., ma una buona parte della critica propende per una composizione anno per anno, durante gli inverni (quando erano sospese le operazioni militari). Questo spiegherebbe alcune contraddizioni interne e l’evoluzione stilistica dell’opera, che non sarebbero giustificabili da una stesura avvenuta in un breve arco di tempo. In particolare, si passa da uno stile scarno e disadorno, tipico del genere del commentarius vero e proprio, ad una presenza sempre maggiore di ornamenti retorici, caratteristici invece della prosa storiografica. Un esempio evidente di questo mutamento stilistico è l’ampliamento del patrimonio lessicale: nella prima parte dell’opera ricorrono spesso gli stessi termini, mentre nella seconda si assiste ad una maggiore ricerca di sinonimi.
La guerra gallica e l’autocelebrazione
La guerra gallica viene presentata come una guerra preventiva e difensiva contro le popolazioni celtiche e germaniche, un vero e proprio bellum iustum combattuto da un valente generale per la gloria e la difesa di Roma. In realtà, Cesare si servì dello spostamento degli Elvezi dal loro territorio come pretesto per interferire negli scontri tra le popolazioni celtiche e gradualmente sottomettere l’intero mondo celtico. La guerra gallica, infatti, gli permise di acquisire potere e gloria personale e di tenere gli occhi di Roma puntati sui suoi successi.
Il libro VIII
Il libro VIII del De bello Gallico è spurio: fu redatto e aggiunto dal generale Aulo Irzio dopo la morte di Cesare per colmare l’intervallo temporale tra quest’opera e il De bello civili. Nello specifico, il libro contiene l’esposizione degli avvenimenti degli anni 51-50 a.C., cioè quelli relativi alla conclusione della campagna in Gallia e alle vicende che precedono la guerra civile.
De bello civili
I tre libri del De bello civili espongono i fatti dei primi due anni della guerra contro Pompeo, il 49 e il 48 a.C. Di seguito il contenuto dei libri:
Libro | Anno | Contenuto |
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I | 49 a.C. | Italia → ultimatum del senato a Cesare; passaggio del Rubicone; Pompeo fugge da Roma; Cesare insegue Pompeo fino a Brindisi; Pompeo salpa per la Grecia; Cesare va in Spagna |
Spagna → scontro contro i pompeiani Afranio e Petreio; Cesare insegue i nemici nella regione dell’Ebro, blocca i loro rifornimenti e li costringe alla resa | ||
II | 49 a.C. | Marsiglia → Trebonio, lungotenente di Cesare, assedia Marsiglia, occupata dal pompeiano Domizio; Cesare arriva a Marsiglia: rinuncia a saccheggiarla e la città si arrende |
Provincia d’Africa → Curione, lungotenente di Cesare, fa una spedizione in Africa, occupata dal pompeiano P. Attio Varo, ma cade in un inganno e viene massacrato col suo esercito | ||
III | 48 a.C. | Farsalo → resoconto delle forze di Pompeo contro l’esercito già provato di Cesare; Cesare sbarca in Epiro e cerca invano un accordo; battaglia di Farsalo (Tessaglia); vittoria di Cesare e fuga di Pompeo in Egitto |
Egitto → Pompeo ucciso a tradimento da un prefetto del re Tolemeo; | ||
Cesare arriva ad Alessandria e interviene in favore di Cleopatra nel conflitto dinastico col fratello Tolemeo |
Oggi si ritiene che il De bello civili sia stato composto tra il 47 e il 46 a.C., ma la questione relativa alla redazione e alla pubblicazione dell’opera è molto dibattuta, in quanto l’opera è incompiuta. La narrazione si interrompe infatti con la guerra di Alessandria, lasciando in sospeso l’esito dello scontro.
La denigrazione degli avversari politici
Dal De bello civili traspaiono le idee e le posizioni politiche di Giulio Cesare, ma soprattutto la sua ostilità verso la vecchia classe dirigente, dipinta come egoista, crudele e corrotta. La denigrazione sistematica degli avversari politici, però, passa attraverso una satira sobria, che svela con maestria le basse ambizioni e gli intrighi del ceto senatorio e, soprattutto, di Pompeo, il suo bersaglio principale. Alla clemenza di Cesare, infatti, si contrappongono sistematicamente l’ipocrisia e la perfidia degli altri personaggi, ritratti come vili traditori, avidi e opportunisti. In questo senso, un esempio celebre è la descrizione del campo avversario prima della battaglia di Farsalo: sicuri della vittoria, i pompeiani si contendono le cariche e i beni di Cesare, accapigliandosi e rivelando le loro basse mire.
Cesare: difensore della legalità
Tuttavia, il De bello civili non contiene un vero e proprio programma politico. L’intento principale dell’opera, infatti, è presentare la figura di Cesare come il difensore della legalità repubblicana, che si è sempre mantenuto nei limiti delle leggi e che le difende contro le ambizioni degli avversari. Complementare a questa immagine è l’insistenza sul desiderio di pace e sulla propria clemenza: Cesare vuole scagionarsi dall’accusa di aver provocato la guerra, nell’opera causata invece dal costante rifiuto di trattative da parte dei pompeiani. Particolarmente importante è il tema della clementia di Cesare verso i vinti, radicalmente contrapposta alla ferocia dei pompeiani e presentata come una delle sue virtù principali anche nella propaganda successiva alla guerra civile (la dea Clementia fu accolta nel culto pubblico dopo l’uccisione di Cesare).
Si tratta di una risposta all’immagine di Giulio Cesare dipinta dalla propaganda dell’aristocrazia senatoria, che lo presenta come un rivoluzionario, un sovvertitore degli ordini sociali e un continuatore dei Gracchi. Il destinatario dell’opera, infatti, è lo strato medio dell’opinione pubblica romana e italica, su cui l’aristocrazia aveva sempre avuto molta presa e di cui ora Cesare ricerca il consenso.
Il ritratto di Cesare
In entrambe le opere Cesare dà di sé il ritratto del grande generale e mette in luce le straordinarie capacità militari e politiche che spiegano i suoi successi, ma senza enfasi: il tono sobrio e calibrato della narrazione priva la sua figura dell’esaltazione carismatica che troviamo invece in altre fonti. In altre parole, Cesare si presenta con misura come il generale capace e lungimirante, che identifica la propria gloria con quella di Roma, sa prevenire le mosse del nemico e, forte della fedeltà dei soldati, sa far fronte alle situazioni più difficili.
Motivo comune ad entrambe le opere è inoltre la celebrazione della lealtà e della dedizione dei soldati, con cui Cesare sviluppò un rapporto personale e sincero.
Nella narrazione, tuttavia, compare anche un elemento estraneo alle logiche umane, cioè la fortuna. Non si tratta della dea Fortuna, bensì di un fattore che sfugge alla razionalità e al controllo degli uomini e che spiega imprevedibili e repentini cambi di situazione e che giova ora a Cesare, ora ai suoi nemici.
STILE
Lo stile dei commentarii è ben riassunto dal giudizio che ne diede Cicerone, riconoscendo a Cesare la pura et inlustris brevitas. Si tratta infatti di uno stile scarno e asciutto, che mira alla chiarezza, all’ordine e alla sobrietà.
La sintassi è semplice e si snoda attraverso periodi solidi e compatti in una costruzione del discorso chiara e rigorosamente logica. L’uso abbondante di costrutti participiali come l’ablativo assoluto, inoltre, contribuisce a rendere il discorso conciso e scandito. Soprattutto nel De bello Gallico, per esempio, nel corso della narrazione si susseguono le lunghe descrizioni delle azioni militari che, seppur monotone, sono animate da un periodare sintetico e incalzante.
Economia espressiva ed essenzialità caratterizzano un tono della narrazione solo apparentemente oggettivo e impassibile: pathos e drammatizzazione non sono assenti, bensì inseriti con misura, evitando abbellimenti formali e preziosismi retorici.
Sobrietà stilistica e nitidezza narrativa valsero a Caio Giulio Cesare l’elogio di Manzoni, che lo pose accanto a Virgilio come scrittore perfetto “per la dignitosa urbanità dello stile e per la sapienza storica”.