LA VITA (1896-1981)
La formazione e le prime esperienze
Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 da una famiglia della media borghesia. Frequentò le scuole tecniche ma, a causa della salute malferma, fu costretto a interrompere gli studi. Riuscì a diplomarsi in ragioneria. Proseguì la propria formazione con letture autonome, studiò i poeti romantici, i simbolisti francesi (Rimbaud, Verlaine, Mallarmé), gli scrittori contemporanei come Svevo e alcuni filosofi tra cui Nietzsche e Schopenhauer.
Nel 1917 Montale venne arruolato nell’esercito di leva e di fanteria. Con la conclusione della Prima guerra mondiale tornò a Genova. Intorno ai 25 anni iniziò a pubblicare le sue prime poesie sulla rivista torinese Primo tempo. Questi scritti interpretano il senso di smarrimento e di angoscia avvertito di fronte al contesto storico e politico con cui lʼautore doveva confrontarsi: lʼideologia fascista, il culto della forza fisica, il disprezzo degli avversari.
Nel 1925 pubblicò la prima raccolta, Ossi di seppia, e il saggio Stile e tradizione, in cui vengono definite le aspirazioni poetiche e intellettuali del poeta: rinnovare dall’interno la tradizione culturale e letteraria europea, dimostrandone lʼefficacia nel presente come chiave di lettura per ogni esperienza esistenziale. Sempre nel 1925, quando il fascismo affermò la propria egemonia, il poeta maturò unʼopposizione ferma e fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce.
Gli anni fiorentini e la Seconda guerra mondiale
Nel 1927 Montale si trasferì a Firenze dove trovò unʼoccupazione presso la casa editrice Bemporad; qui ebbe decisivi incontri culturali: Carlo Emilio Gadda, Aldo Palazzeschi e Salvatore Quasimodo. Entrò a far parte del gruppo legato alla rivista Solaria e, tra il 1929 e il 1938, ricoprì il ruolo di direttore del prestigioso Gabinetto Vieusseix (unʼistituzione che si occupava di promuovere gli studi scientifici e letterari) diventando uno dei punti di riferimento della vita culturale fiorentina. Nel 1939 venne dato alle stampe il suo secondo libro di poesie intitolato Le occasioni.
Nel corso di questi anni fiorentini Montale conobbe due donne che diventeranno importanti per la sua vita e la sua produzione letteraria. La prima fu Drusilla Tanzi, donna sposata con cui ebbe un rapporto di affetto e intimità. La seconda fu Irma Brandeis, studiosa americana di origine ebraica con cui stabilì unʼintensissima relazione, spunto per comporre numerosi testi poetici in cui la donna assumeva i nomi mitologici di Clizia e Iride.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Montale fu costretto a mantenersi con impieghi irregolari presso riviste e case editrici e si dedicò a numerose traduzioni. Richiamato alle armi nel 1940 scrisse nuove poesie che per il loro contenuto indirettamente polemico vennero stampate in Svizzera con il titolo di Finisterre. Durante la guerra alla tragedia del conflitto si sommarono i dolori personali: la morte della madre e della sorella Marianna, la distruzione della casa di famiglia a Genova, il ritorno di Irma Brandeis in America, il desiderio di seguirla e la scelta finale di rimanere in patria.
Gli ultimi anni
Nel 1945 gli fu affidata la direzione del settimanale culturale Il mondo a cui pose presto fine scegliendo una condotta più appartata. Nel 1948 si trasferì a Milano dove collaborò per il Corriere della sera. In questi anni conobbe la poetessa Maria Luisa Spaziani, a cui attribuirà lo pseudonimo Volpe.
Nel 1956 furono pubblicati la terza raccolta di poesie, La bufera e altro, e il volume Farfalla di Dinars. Nel 1961 ricevette la laurea ad honorem e sposò Drusilla Tanzi. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta uscirono le sue ultime opere: Auto da fé, Fuori di casa. Morì a Milano nel 1981 e ricevette lʼonore dei funerali di stato nel Duomo.
LA POETICA
Lo stile
Lo scrittore, secondo Montale, non è un mago e neppure un visionario ma un “uomo disincantato, savio e avveduto” che utilizza la letteratura per capire e interpretare il presente. La poesia non è una forma di evasione dalle angustie della vita, ma uno strumento di rappresentazione e decifrazione di esse. Occorre recuperare e rinnovare gli esempi più alti della tradizione per continuare a concepire la poesia come interrogazione sul destino dellʼuomo e sul mistero dellʼesistenza.
Questa concezione della poesie è riflessa nello stile: classico e tradizionale, ma non passivamente conservatore. Spesso si parla di “bi-frontismo” per indicare lʼequilibrio tipico della poesia di Montale, che non cede alla tentazione anarchica dell’innovazione assoluta e neppure si chiude in un classicismo esasperato e maniacale. È alla ricerca di unʼintensità stilistica capace di esaltare le potenzialità evocative della parola poetica e infatti Montale è il poeta del Novecento italiano dalla lingua più ricca e articolata.
Una grande innovazione della sua poesia è costituita dalla tecnica del cosiddetto “correlativo oggettivo”. Si tratta di un artificio espressivo che riflette una modalità percettiva e conoscitiva in base alla quale gli oggetti servono in quanto veicolano un senso o un valore ulteriore a essi, correlato dalla tensione psicologica del poeta (come Proust, Joyce, Woolf, Eliot).
I grandi temi
Tre sono i centri gravitazionali dellʼispirazione montaliana: il rapporto con la natura, lʼesperienza dellʼamore e il miracolo (ossia il desiderio di libertà). Il poeta rifiuta una visione materialista e positivista, che interpreti la vita in termini puramente fisici, biologici e deterministici. Al contempo non può accettare le formule e le risposte già codificate come quelle della religione cattolica o delle ideologie ottocentesche. Il dubbio che accompagna la sua vita concerne un punto cruciale: la vita individuale e la storia nel suo complesso sono vincolate da leggi ferree e ineluttabili, oppure è possibile unʼalternativa?
In alcuni momenti prevale la constatazione di uno scacco fallimentare per cui subentra il “male di vivere” . Questa espressione non indica solo una condizione di disagio individuale fatto di angoscia, isolamento e insicurezza, ma implica anche una perdita di punti di riferimento storici, che equivale al disorientamento della cultura europea negli anni tra le due guerre. Per questo il paesaggio, la natura e la storia civile costituiscono lʼorizzonte mai astratto o lontano della scrittura montaliana.
In altri momenti prevale la speranza di trovare ciò che davvero corrisponde al desiderio e alle aspirazioni del cuore umano. Montale ipotizza che la redenzione possa essere prodotta da un personaggio esterno la cui figura che si delinea progressivamente nei testi. Dapprima si presenta con i caratteri indistinti di una creatura capace di resistere al dolore e alla tragedia, poi assume i contorni più definiti e appare con il volto di una donna. È un personaggio femminile che sa condividere la condizione negativa dell’essere umano, pur rimanendo incontaminato. La salvezza però non appare mai sicura: è problematica e continuamente rimessa in discussione dal timore di essere abbandonato e dimenticato.
LE OPERE
Ossi di seppia (1925)
L’esordio poetico di Montale presenta una struttura articolata e composita. Dopo una poesia di apertura (Il limine) troviamo cinque sezioni: Movimenti, Ossi di seppia (con testi brevi ed intensi), Mediterraneo, Meriggi e ombre (dove troviamo i testi più lunghi della raccolta) e Riviere. In questa raccolta il poeta dichiara la sua propensione per una poesia aderente alla realtà comune e quotidiana: una dimensione anti-eroica e anti-retorica, indirizzata alla sommessa verità che giace sotto le apparenze. Gli ossi di seppia, depositati dal mare sulla battigia, sono metafora della poesia e dei suoi contenuti, sono lʼemblema di ciò che è essenziale e rimane quando il superfluo si è consumato.
Le poesie presentano una ricorrente situazione di disagio esistenziale: è il male di vivere, nutrito dall’isolamento e dall’incomunicabilità. La vita sembra come un tragico enigma, di cui l’aspro paesaggio della Liguria diventa simbolo. In Ossi di seppia, però, Montale tenta anche di opporsi al male di vivere: una lotta contro la negatività che si identifica con il bisogno di comunicare. Compare spesso il riferimento ad un “tu” femminile, a cui il poeta indirizza i propri auguri e i propri appelli. Si tratta di una figura quasi impalpabile, presente nella memoria, che offre speranza e aspirazioni che Montale si sente incapace di coltivare.
Sul piano stilistico Ossi di Seppia è un libro di rottura che rigetta lʼidea della poesia come prodotto letterario. Vengono adoperati materiali diversi per creare un discorso non eloquente ma realistico, oggettivo. La denuncia del male di vivere porta come conseguenza la ricerca di uno stile duro e asciutto, a volte aspro. Lo svolgimento sintattico è fortemente intellettualistico, abbondano la subordinazione e i periodi ipotetici.
Le occasioni (1939)
La seconda raccolta poetica di Montale, composta da una cinquantina di testi scritti tra il 1926 e il 1939, è il riflesso di una stagione esistenziale vasta e complessa del poeta. Il titolo è il manifesto di una precisa concezione della poesia e della vita. Ogni poesia nasce come intenso resoconto di una particolare occasione umana e psicologica. Nel passaggio da Ossi di Seppia alle Occasioni cambia il paesaggio di riferimento: alla memoria della natura ligure e al nuovo ambiente fiorentino si sommano accenni verso una realtà geografica più vasta (lʼEuropa o lʼAmerica). Inoltre, se in Ossi di Seppia il poeta descrive le inquietudini esistenziali appartenenti al suo mondo interiore, ne Le occasioni la riflessione acquista un maggiore rilievo storico, politico e sociale.
Molte delle poesie della raccolta vanno a comporre una sorta di canzoniere dʼamore, un dialogo poetico con la donna amata e lontana, durante gli anni nei quali si affermarono i regimi autoritari di Adolf Hitler e Benito Mussolini. Dietro ad un unico fantasma femminile però si celano esperienze diverse, figure distinte: Annetta/Arletta Clizia, la Brandeis, Maria Rosa Solari, Dora Markus. La figura femminile viene percepita ora come ricordo amaro e tenace di unʼesperienza consumatasi per sempre, ora come fantasma angelico. Diventa così il simbolo di una bellezza e di una purezza ideali, che sembrano capaci di dare senso e valore alla vita. Al poeta interessa ritrarre una parabola esistenziale in cui lʼamore consente all’essere umano di sopravvivere in una condizione infernale. Diventa perciò indifferente sapere da quale donna ogni componimento sia ispirato.
Da un punto di vista formale Montale si ispira a Hölderlin, Leopardi e Valéry, da cui ricava tre valori: la nitidezza formale, la raffinata musicalità e il rigore logico-argomentativo. Il poeta mette in pratica la sua teoria del correlativo oggettivo: a lui spetta il compito di tradurre il proprio mondo interiore in oggetti a esso correlati, in immagini la cui valenza allegorica consenta al lettore di ricomporre il grumo di pensieri e sentimenti da cui il testo ha preso vita.
Le bufera e altro (1956)
Il terzo libro montaliano comprende 58 poesie scritte tra il 1940 e il 1954, anni segnati dalla guerra nei quali il poeta attraversò una crisi fondamentale. Lʼopera fornisce una rielaborazione in chiave visionaria degli eventi storici e reali: a Montale interessa il loro significato profondo, la loro cifra fondamentale. Per questo il discorso poetico non si sviluppa in modo descrittivo o cronachistico, ma viene evocato per mezzo di metafore, dando al libro una tessitura fortemente simbolica.
La sciagura della guerra e delle dittature abbattutesi sullʼEuropa viene rappresentata come apparizione di una volontà che si dispiega secondo calcoli di cui l’essere umano non può seguire il filo, come segni di un Assoluto che si presenta come istanza malvagia e perversa. Tutto ciò viene riassunto nell’immagine della bufera, la quale però diventa simbolo di ogni situazione drammatica dellʼesistenza umana.
Per far fronte a questa situazione drammatica Montale si rivolge a due figure femminili con le quali intreccia un dialogo a distanza, sul filo della memoria. La prima è Clizia, rappresentata come una sorta di donna angelo e riconosciuta come esempio di virtù in una realtà ormai indecifrabile. La seconda, Volpe, si colloca in antitesi a Clizia in quanto connotata con i caratteri dellʼanimalità, della sensualità, della corporeità. In entrambi i casi la figura femminile diventa l’emblema di ogni forma di coraggio; in alcuni testi assume addirittura un valore specificatamente religioso, di mediatore tra lʼessere umano e Dio.
La produzione in prosa
A partire dal 1946 Montale pubblicò sul Corriere della sera articoli di taglio riflessivo sulle questioni sociali, morali e culturali dell’attualità. Fu chiamato a osservare e giudicare, con gli occhi acuti e distaccati del poeta, lʼItalia del suo tempo, cogliendone gli snodi problematici: la crisi della fede religiosa, il boom economico, la cultura di massa, lʼinvadenza e il trionfo della tecnologia. Il suo tempo gli appare un “inferno politico”, ne evidenzia così le lacune, i vizi e i crimini. Occorre accettare lʼesistenza nella sua intera complessità, senza cedere alle tentazioni della superficialità e della semplificazione e occorre esercitare uno sforzo per leggere a fondo la realtà circostante.
Nello stesso anno in cui pubblicò La bufera e altro Montale dette alle stampe anche il suo primo volume di prose, Farfalla di Dinard, che raccoglie brevi racconti autobiografici ed elzeviri (ovvero testi di argomento artistico, letterario o fantastico). Le situazioni e gli aneddoti nascono spesso dalla memoria e sono introdotti con un linguaggio grottesco e deformante. Risalgono invece alla seconda metà degli anni 60 Auto de fé (1966), che include testi saggistici, e Fuori di casa (1969), che comprende le prose di viaggio scritte da Montale durante le sue missioni in paesi stranieri come inviato del Corriere.
Lʼultima stagione poetica
Gli ultimi libri di poesie di Montale sono umili e comici, satirici e paradossali. Si tratta di un ripensamento della propria vocazione letteraria per trovare soluzioni formali e costanti tematiche in sintonia con il nuovo orizzonte affermatosi con lʼavvento della società di massa. Le ultime cinque raccolte sono: Satura (1971), Diario del ʼ71 e del ʼ72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977), Altri versi e Poesie disperse (1980).
Il termine Satura si rifà all’omonimo genere letterario latino dedicato alla rappresentazione dei vizi e della follia dei desideri umani. Con questo titolo Montale segnala il carattere composito e miscellaneo del suo nuovo libro. Al suo interno, infatti, con un linguaggio semplice e quotidiano dà voce a spunti narrativi e autobiografici e a riflessioni spesso amare e sarcastiche sui minimi accadimenti dellʼesistenza comune.
Nel Diario del ʼ71 e del ʼ72 Montale consegna al lettore il proprio definitivo autoritratto di poeta, alternando le note dellʼamarezza e della speranza. Egli condanna gli egoismi e gli opportunismi della propria epoca, smascherando e dissacrando i luoghi comuni della cultura contemporanea. Nel successivo Quaderno di quattro anni aumentano i testi legati al ricordo e alla riflessione, dove Montale affronta le grandi domande sulla vita con un atteggiamento disincantato e di distacco.