Dal 26 aprile di quest’anno ɜ ragazzɜ sono tornatɜ sui banchi di scuola. A scaglioni, a settimane alterne e armati di mascherine, ma pur sempre sui banchi. E proprio tra le file dei banchi, nei corridoi e per le strade ci si fa una domanda: cosa ci ha lasciato un anno di didattica a distanza?
I “danni” della DAD: un problema oltre lo schermo
Gli effetti negativi di questi mesi sullɜ ragazzɜ sono sotto gli occhi di tuttɜ, condensati in una spirale di malessere che si è protratta per oltre un anno. Stanchezza, aumento dell’ansia, frustrazione, ma soprattutto disinteresse. Il filtro dello schermo e l’isolamento hanno portato ad un distacco quasi totale dalla materia, “disumanizzata” e ridotta a una massa di nozioni. Il risultato? La mancanza di partecipazione e interesse, alimentata dalla percezione di essere calatз in un sistema che non ci appartiene più e in cui non ci possiamo riconoscere.
Tutta colpa della DAD?
Il bilancio negativo che oggi possiamo fare sull’esperienza della didattica a distanza, però, nasconde una realtà più grave: le conseguenze che ha portato con sé hanno poco a che vedere con distanza fisica e i limiti dello schermo e molto più con un sistema scolastico incapace di contenerle. La scuola italiana non era pronta a far fronte ad una scossa simile e non è stata in grado di compensare la perdita della presenza in maniera efficace: nel momento in cui sono state chiuse le scuole, il sistema è andato in cortocircuito, la terra ci è franata sotto i piedi.
Demonizzare la DAD, attribuendo ed essa soltanto i danni di questi mesi, equivale a deresponsabilizzare il sistema da cui è nata e a decontestualizzarla da quella realtà che invece l’ha resa così fallace. In altre parole, se l’apprendimento a distanza avesse trovato un terreno fertile e solido, disposto ad accoglierlo e a valorizzarlo, pur nei suoi limiti innegabili, oggi forse non incontrerebbe l’ostilità di tantɜ studentɜ e insegnanti.
Una conoscenza estranea
Come potrebbero, del resto, sei ore di fila passate davanti al computer e chiusɜ nella propria stanza creare un legame con ciò che si studia? Il deficit del sistema didattico a distanza deriva da una situazione di inadeguatezza e indolenza che lo ha affidato solo a sé stesso. La DAD, resa incompatibile con il senso profondo di un sistema educativo dalle carenze pregresse della scuola italiana, ha spezzato la curiosità che dà senso e valore alla conoscenza.
Ed è questa la perdita più grave. La scuola non è un sistema di produzione e distribuzione meccanica di conoscenze, ma ruota intorno alla persona. Siamo abituatз a pensare che il suo primo compito sia fornire allɜ ragazzɜ conoscenze e competenze valide nella vita, ma mai come quest’anno siamo statɜ smentitɜ: con la didattica a distanza ɜ ragazzɜ sono statɜ davvero “vasi da riempire”, per usare una metafora nota. L’estraneità disarmante e improvvisa di un sistema che dovrebbe essere incentrato sull’umano ci ha coltɜ in contropiede e ha mostrato alla luce del sole una verità che in Italia abbiamo dimenticato, sovraccaricando di aspettative un sistema educativo che ormai di “educativo” ha sempre meno.
In questo senso, la DAD ci ha riportato alla grande domanda di senso che dovrebbe accompagnare la crescita dellɜ ragazzɜ nelle scuole: perché studiamo? Se la risposta fosse soltanto “per acquisire conoscenze”, Netflix potrebbe già risolvere i nostri problemi: perché non streammare episodi di videolezioni e trasformare i trimestri in maratone di serie-tv sul Rinascimento e i radicali? La sola ipotesi svela l’assurdità di una situazione così alienante.
La radice del problema
Sarebbe sbagliato imputare alla DAD la perdita di qualcosa che nelle nostre aule manca già da molto tempo, perché la didattica a distanza non ha fatto altro che amplificare e rendere evidente un problema di lunga data. La questione infatti non è tanto la presenza fisica in un’aula, quanto la qualità di quella presenza, valorizzata dalla disponibilità, dall’amore e soprattutto dalla fiducia che nell’atto educativo non possono mancare. E laddove questi fattori mancavano, lo schermo ha impoverito un rapporto già fragile e vacillante, nutrito solo dalla quotidianità meccanica del registro.
A risentire del sistema della didattica a distanza, infatti, è stato soprattutto il rapporto studentз-insegnante, a cui forse per la prima volta viene dato il giusto spazio nel dibattito pubblico. Come hanno mostrato le notizie di classi tornate in presenza sovraccaricate di verifiche e interrogazioni, in questi mesi si è instillato un clima di sospetto e ostilità, che non ha fatto che aumentare la distanza già profonda tra ragazzɜ e docenti. L’impegno e lo studio dell’ultimo anno, portati avanti dallɜ studentɜ anche nella massima difficoltà, sono vanificati dalla diffidenza di tantɜ professorɜ, che hanno pensato di “recuperare” negli ultimi giorni di scuola. Questa situazione non soltanto rivela la scarsa attenzione verso il benessere dellɜ ragazzɜ, già strematɜ dopo più di un anno di DAD, ma anche l’assoluta mancanza di fiducia nei loro confronti, radicata in moltɜ docenti già prima della pandemia.
La scuola è relazione
La scuola è prima di tutto relazione: è il dialogo vivo e sincero che nasce dalla curiosità, ed è la condivisione tra pari e tra studentɜ e insegnanti che avvalora la conoscenza. Non ci può essere comunicazione o insegnamento senza fiducia. Non si tratta di qualcosa che si conquista con la presenza fisica, ma con la volontà: oggi più che mai, alla fine della pandemia, abbiamo bisogno di ragazzз che credano in quello che studiano e nella realtà che lз sta formando, e sta allз docenti fare il primo passo, incoraggiarlз a fidarsi di loro e di se stessз. Il sapere “disumanizzato”, che non viene fatto proprio dallo studente e rimane una nozione memorizzata dal libro è destinato ad appassire. E la DAD ha messo a nudo la verità più importante, il cuore di ogni sistema educativo: senza la persona non c’è conoscenza.
L’eredità della domanda
In un sistema già fragile, che fatica a contenere la dispersione scolastica a tutti i livelli (13,5% prima del Covid, tra i più alti in Europa), la didattica a distanza ha inferto un duro colpo, indebolendo meccanismi di insegnamento già precari e mettendo a nudo problemi finora trascurati. La scuola italiana è stanca: è un sistema che arranca, sovraccaricato dalla burocrazia, dalle aspettative che non può soddisfare e dalla sfiducia crescente di studentɜ e insegnanti. I mesi passati hanno aggravato un clima di insoddisfazione generale che si trascina da anni, eppure mai come in questo periodo storico si è parlato di scuola: per la prima volta le istituzioni scolastiche, con tutti i loro problemi e difficoltà, si sono trovate al centro del dibattito pubblico in maniera costante e martellante.
Finalmente si parla di scuola, ci si fa delle domande. Questa è l’eredità più preziosa della DAD: ad un anno e mezzo dalla chiusura delle scuole, sentiamo la necessità di interrogarci e di mettere in discussione un sistema che si è rivelato problematico, più di quanto “l’apparenza” di anni in presenza lasciasse intravedere. Questi mesi di didattica a distanza ci hanno fatto precipitare in una spirale di inerzia talmente profonda da sfociare nel paradosso: moltɜ ragazzɜ non hanno più voglia di tornare in presenza, hanno dimenticato loro stessɜ cosa dà un valore alla scuola. E allora la domanda di fondo per ripensare una scuola in Italia è proprio questa: qual è il senso della scuola?
Elena