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Cosa sta succedendo in Afghanistan?

Set 27, 2021

Non servono giornali o telegiornali per sapere che  ormai da più di un mese l’Afghanistan sta affrontando una crisi per la quale le nazioni estere hanno mosso i propri diplomatici e ministri, che hanno aperto molteplici finestre di discussione. Tuttavia, comprendere cosa veramente stia succedendo a Kabul e dintorni risulta alquanto complesso, data la storia articolata del territorio che oggi chiede disperatamente aiuto a tutto il mondo. Qual è il ruolo degli Stati Uniti in queste dinamiche? Chi sono i Talebani? Che cosa è la Sharia? E perché milioni di persone rischiano la morte per fuggire dalla propria casa?

Partendo dalle origini… 

Per rispondere alla prima domanda bisogna tornare indietro di quasi duecento anni, quando il territorio afghano, a causa della sua posizione strategica, divenne oggetto di contesa tra l’impero britannico e l’impero russo. Nonostante la vittoria inglese nella guerre anglo-afghane, nel 1979 la Russia invase con successo il Paese, attirando così l’attenzione degli Stati Uniti. Infatti, i due grandi colossi erano nel pieno della Guerra Fredda, e nessuno dei due avrebbe permesso che l’altro ottenesse una vittoria con tanta facilità.

Perciò gli Stati Uniti, insieme al Pakistan, alla Cina e all’Iran, finanziarono i gruppi di combattenti afghani che si opponevano al governo comunista, i mujahidin. Si definiscono in tal modo i membri della guerriglia islamica radicale, che combattono contro i “nemici di Dio”, secondo l’interpretazione radicale della Jihad. Il termine può significare sia “impegno a comportarsi da buon mulsulmano”, sia “guerra per difendersi dagli aggressori/infedeli”. È sufficiente realizzare la grande differenza di significato tra le due interpretazioni per comprendere come, inevitabilmente, a seguito della fuga dei russi nel 1989 e della ritirata degli americani, tra i comandanti mujahidin in Afghanistan siano scoppiati conflitti interni. E da essi è nata una guerra intestina, combattuta con i fondi delle coalizioni anti-sovietiche.

L’ascesa dei Talebani in Afghanistan

Fu proprio nell’ambito della guerra civile del 1990 che nacquero i Talebani. Questi erano tutti studenti delle scuole coraniche del Kandhar che offrivano un’interpretazione radicale della Sharia, ossia l’insieme di principi etici che un musulmano deve seguire. Appoggiati dal gruppo mujahidin conosciuto come Al Quaida e capeggiato da Osama bin Laden, i Talebani presero il controllo di Kabul nel 1996. Nel giro di cinque anni, fondarono e governarono l’Emirato islamico dell’Afghanistan. La Sharia, come da loro interpretata, aveva una serie di conseguenze sociali e culturali: costringeva le donne ad indossare il burqa, ad uscire di casa solo se accompagnate da un uomo appartenente al nucleo familiare e vietava loro di studiare, guidare e lavorare. Relazioni omosessuali, sport e musica venivano puniti con la lapidazione. Nonostante il divieto di diffondere immagini, alcune testimonianze dei massacri che gli afghani erano costretti a subire furono diffuse fuori dal Paese, sconvolgendo l’opinione pubblica.

Le tensioni tra l’Emirato e gli Stati Uniti non tardarono ad inasprirsi. Osama bin Laden dichiarò guerra agli USA, che risposero con attacchi missilistici non mirati ed embarghi. Tuttavia, solo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, George W. Bush diede il via alla celebre guerra al terrorismo, invadendo l’Afghanistan. La presenza degli americani ha permesso agli afghani di recuperare Kabul, instaurare un governo di transizione attraverso delle elezioni e inaugurare l’operazione “Sostegno Risoluto”, che avrebbe portato alla creazione di un esercito afghano in grado di difendersi dalla guerriglia talebana.

L’inizio della crisi in Afghanistan

Tuttavia, l’anno scorso Donald Trump e i Talebani hanno firmato il cosiddetto “accordo di Doha”, che prevede la cessazione del conflitto armato a condizione che le truppe statunitensi si ritirino nei successivi quattordici mesi. Nell’accordo non vengono però citate le relazioni tra Afghani e Talebani, cosicché, non appena il neo-presidente Biden ha fatto rientrare i presidi NATO e ISAF, terminando l’operazione Sostegno Risoluto (rimasta inconclusa), l’invasione talebana, cominciata già da qualche mese, ha subito un escalation sorprendente.

D’altronde, autorità, organizzazioni ed enti attivi in politica estera avevano annunciato già all’inizio dell’anno la crisi umanitaria che solo ora è sulle prime pagine di ogni giornale. Tant’è vero che in un comunicato dell’organizzazione femminista afghana RAWA (Revolutionary Women of Afghanistan), pubblicato nel gennaio 2021, era stato denunciato il rischio di un ritorno alla Sharia. Le informazioni però non sono state diffuse e la reazione dei Paesi esteri è arrivata in ritardo. Infatti, già più di 400.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie case, per lo più donne e bambini. In molti si sono rifugiati invano nella capitale: il 15 agosto i Talebani hanno assediato Kabul e hanno proclamato la nascita dell’Emirato islamico, proprio come vent’anni prima.

Fuga dalla Sharia radicale

Nonostante le rassicurazioni dei Talebani, i fatti dimostrano che nulla è cambiato dal 1996. Le donne fino a pochi mesi fa lavoravano e studiavano, libere di scegliere rispetto ad indumenti, attività fisica e relazioni esterne alla famiglia. Oggi sono costrette a nascondersi perché non hanno le vesti adatte a mostrarsi al pubblico e rischiano così la lapidazione. Migliaia di afghani hanno cercato nei mesi scorsi di abbandonare il Paese servendosi dei ponti aerei offerti dagli Stati Uniti e dai Paesi europei. Questi hanno lo scopo di prelevare bambinз, attivistз, membri della comunità LGBTQIA+, giornalistз, studentз, operatorз sanitarз e collaboratorз umanitarз e internazionali dall’Afghanistan. I profughi vengono poi divisi tra i Paesi che hanno offerto disponibilità di accoglienza: Canada, Messico, Costa Rica, Colombia, Cile, Uganda, Ruanda, Macedonia, Germania, Giappone, Spagna e Italia.

Tutte le forze internazionali stanno progettando le prossime mosse. Mentre i Talebani consolidano il proprio governo su false promesse, l’Europa discute della possibilità di aprire corridoi umanitari, che permetterebbero di trasferire in sicurezza migranti in condizioni di particolare vulnerabilità in posti sicuri. Questi sono però ostacolati da Slovenia, Polonia, Ungheria e parzialmente dalla Francia, dove il presidente Macron pensa a come assicurarsi la vittoria delle prossime elezioni. Gli Stati Uniti invece hanno ribadito di non volersi impegnare in una guerra che Kabul non sa combattere, sebbene, come emerge dall’analisi militare del generale Battisti, l’insegnamento delle truppe occidentali perpetuato negli anni precedenti con il progetto Sostegno Risoluto non abbia affatto tenuto conto dei modelli di esercito orientali, risultando così in un fallimento totale.

Non salvatori, ma sostenitori: ecco cosa possiamo fare noi

I Paesi esteri continuano a compiere un errore nei confronti dell’Oriente: politici e opinione pubblica si approcciano alla questione afghana con una visione ereditata dalla mentalità colonialista. Numerosi sono i post sui social che mettono a paragone foto di donne con e senza il burqa, attaccando la religione islamica. Qualcuno si spinge a colpevolizzare il popolo afghano, giustificandosi con ragioni profondamente islamofobe. La strumentalizzazione della religione da parte dei Talebani ha portato ad un clima di disinformazione generale. In altre parole, si è diffusa l’idea di un Occidente che ha il “dovere” di educare secondo la propria cultura l’Oriente, oppure se ne deve lavare le mani (essendo d’altronde l’Oriente stesso causa delle sue sofferenze, secondo queste teorie). 

Pangea Onlus, Nove Onlus, Women for Women International, Afghanid, Women for Afghan Women e Rukshana Media sono solo alcune delle associazioni che si stanno muovendo per sostenere la scelta di corridoi umanitari e per raccogliere fondi al fine di aiutare coloro che rimarranno a combattere per i propri diritti. Quello di cui ora hanno bisogno gli Afghani non è un salvatore, né il silenzio internazionale, ma sostegno e solidarietà, per chi decide di fuggire come per chi decide di rimanere e combattere.

Ale

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