Pronomi e perché sono importanti
Quando alle elementari abbiamo imparato i pronomi, mai avremmo immaginato che potessero diventare qualcosa di così importante per l’identità di un individuo. Eppure, ormai da mesi è possibile indicare i propri pronomi sulla bio di Instagram, Pinterest e addirittura sull’account Google. I profili social si sono riempiti di “he/him”, “she/her” e “they/them”; in alcuni casi possiamo anche trovare scritto “xe/xyr”. Perché indicare i pronomi è diventato segno di rispetto? E da dove deriva la necessità di esplicitarli?
L’Identità di genere: una vecchia storia
Per rispondere a tali domande è necessario prima affrontare il concetto di identità di genere. A differenza del sesso, definito biologicamente, l’identità di genere si fonda sulla percezione che l’individuo ha di sé in relazione al concetto di genere, che sia binario o non binario, ossia non classificabile nella dicotomica donna/uomo. L’espressione della propria identità di genere può avvenire attraverso il vestiario, atteggiamenti, comportamenti, la scelta di un nome (nome d’elezione) diverso da quello anagrafico (dead name) e di pronomi non corrispondenti al genere assegnato alla nascita.
Sebbene la questione sia diventata evidente solo negli ultimi anni grazie all’utilizzo dei social, la storia occidentale della discussione sul genere risale ai primi anni del 1900. Infatti se nel XX secolo ci fosse stato Instagram, avremmo potuto trovare nelle bio di qualche anglosassone “Hir/His’er/Him’er”, “co/cos/coself” o “Thon/Thons”. Questi erano solo alcuni tentativi di creare neopronomi che permettessero di parlare di una persona senza rinchiuderla nel binarismo uomo-donna: in totale si possono contare circa 250 proposte di pronomi dal 1780 ai giorni nostri.
Fuori dai binari, ieri come oggi.
D’altronde, identità di genere non binarie sono sempre esistite e da secoli tentano di creare un linguaggio inclusivo che affermi anche attraverso la parola la propria esistenza. Ridurre il fenomeno del non binarismo ad una moda del XXI secolo non solo cancella le battaglie portate avanti da giornali intersezionali come Urania e da scrittrici quali Mary Orovan o Ella Flagg Young, ma dimostra anche una profonda ignoranza nei confronti delle culture orientali e tribali.
Identità fluide, che si muovono tra i concetti di “maschio” e “femmina” o se ne distaccano totalmente, si possono trovare nel Talmud e nel Mishna ebraici, sotto i nomi di Androgynos e Tumtum. Mentre il primo termine indica qualcunǝ che ha sia caratteristiche maschili sia femminili, il secondo definisce una persona il cui genere è ambiguo ed oscuro. Si leggono anche le parole Ay’lonit e Saris, le quali indicano rispettivamente un ragazzo transgender e una ragazza transgender.
Le culture tribali
La cultura non binaria più celebre è però quella delle tribù indiane, sfortunatamente andata perduta a causa della censura dei paesi colonialisti. Infatti, non appena gli europei sbarcarono nel territorio nativo americano fecero di tutto per eliminare le persone “due spiriti”. Queste, divise in due spiriti femmina e due spiriti maschio in base al genere assegnato alla nascita, detenevano all’interno delle tribù ruoli propri di tutti e due i sessi, erano rispettatз e assumevano anche ruoli importanti, come quello di sciamanз o guaritorз. Lз bambinз venivano cresciutз tuttз allo stesso modo, indipendentemente dal proprio sesso biologico, e ad una certa età era loro permesso scegliere quale delle cinque identità di genere fosse la più adatta tra maschio, femmina, due spiriti maschio, due spiriti femmina o transgender.
In alcune tribù orientali tale tradizione permane: è il caso dei Teduray, nelle Filippine. Essendo il filippino una lingua neutra con un solo pronome per ogni genere (Sya/Siya), non stupisce che alcune comunità lontane dalla imponente occidentalizzazione abbiano mantenuto un rapporto di rispetto e accettazione nei confronti di persone non binarie, definite “mentefuwaley”, ossia “trasformazione”. D’altronde l’esperienza di genere, personale per ciascunǝ, può essere statica come in continuo cambiamento. Rinchiudere un individuo in una scatola vieta l’esplorazione della propria persona, e spesso tale scatola è proprio la grammatica.
Alla ricerca del neutro
Nei paesi anglofoni la diffusione dei neopronomi è stata alquanto veloce. Oltre al neutro “they/them”, “consentito” anche dalla grammatica tradizionale, numerose persone hanno iniziato a fare uso di “fae/faer”, “ve/ver”, “ze/hir”, “xe/xyr” affinché potessero identificarsi in un’ esperienza del proprio genere fuori da ogni schema, spesso anche al di là di una concezione neurotipica del medesimo.
Nella lingua italiana l’uso di pronomi e terminazioni neutre risulta più difficile e in moltз lo ostacolano in nome del purismo linguistico. Tuttavia, tra lз più giovani l’uso della schwa, di x, 3 e asterischi si sta facendo gradualmente sempre più massiccio, con la speranza che il cambiamento arrivi dal basso. Ovviamente tali soluzioni, possibili nello scritto, si rivelano infattibili e cacofoniche nel parlato; pertanto, molte persone non binarie scelgono un pronome binario che però non equivale al genere della persona. Quindi, se unǝ ragazzǝ afab (assigned female at birth) si serve di pronomi maschili nella conversazione non significa che sia automaticamente un ragazzo transgender, almeno che non lo affermi lǝi stessǝ; lo stesso vale, al contrario, per unǝ ragazzǝ amab (assigned male at birth).
Chiaramente i pronomi di una persona non sono istantanei né deducibili dall’aspetto. Per questo tuttз stanno aggiungendo tale informazione sui social, anche le persone cis-gender (ossia che si identificano nel proprio genere assegnato alla nascita), poiché inserire i propri pronomi permette di normalizzare la questione ed evitare malintesi. Tuttavia, per motivi personali e di sicurezza, alcunз potrebbero non scriverli; in tal caso è sempre meglio chiedere, piuttosto che supporre. D’altra parte, ciascunǝ vive il proprio genere in maniera strettamente personale, e fare domande che permettano di rispettare chi si ha davanti non è una forma di indiscrezione, ma di correttezza nei confronti del prossimo.
Alex