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L’Imperialismo

Dic 10, 2021

L’Imperialismo è un fenomeno che si sviluppa a livello globale tra la seconda metà del XIX e l’inizio del XX secolo. Con questo termine si indica la crescita dei contrasti internazionali e l’espandersi del dominio dei paesi occidentali sul resto del mondo. Questo processo, già iniziato con il Colonialismo, si intensifica ulteriormente a causa della competizione economico-politica tra gli Stati e sarà uno dei fattori che contribuiranno allo scoppio della Prima guerra mondiale.

Introduzione generale all’Imperialismo

Il termine “Imperialismo”: origine e sviluppo

Il termine “Imperialismo” nasce in Inghilterra alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento nel corso del Congresso di Berlino del ‘78, convocato per allentare la tensione nell’area balcanica dopo la guerra tra la Russia e l’Impero ottomano del 1877. L’opinione pubblica inglese comincia a parlare di Imperialismo in accezione positiva per indicare la necessità di una politica militare e diplomatica che riaffermi la supremazia internazionale della Gran Bretagna contro le ambizioni degli altri paesi.

In seguito si inizia a parlare di Imperialismo come di un fenomeno che caratterizza le grandi potenze e come una tendenza a estendere il controllo militare e politico su intere aree geografiche. L’Imperialismo diventa oggetto tanto di studi quanto di attacchi politici già dall’inizio del Novecento; ne sono due esempi il saggio Imperialismo (1902) dell’economista John A. Hobson e il pamphlet L’Imperialismo, causa suprema del Capitalismo (1916) di Lenin.

Il rapporto tra Imperialismo e Colonialismo

L’Imperialismo è diverso dal vecchio Colonialismo. Lo dimostra il fatto che nazioni con grandi imperi coloniali come Spagna e Portogallo sono emarginate dalla competizione imperialista perché non sono abbastanza industrializzate e non riescono a stare al passo con le altre nazioni più sviluppate. Al contrario, paesi senza grandi imperi coloniali ma con un’economia proiettata sui mercati mondiali sono i veri protagonisti della corsa imperialistica. I due fenomeni hanno molte affinità e spesso si intrecciano, ma non sono coincidenti e non sono per forza uno causa dell’altro.

La concorrenza economica tra gli Stati e l’interesse ad acquisire nuove aree di influenza tipiche dell’Imperialismo possono esprimersi solo in parte attraverso il Colonialismo tradizionale; infatti spesso si traducono in un intreccio di pressione e attivismo imprenditoriale, penetrazione dei capitali nelle economie più deboli e diplomazia. Proprio in questo sta la complessità del fenomeno dell’Imperialismo economico: nella difficoltà di distinguere al suo interno tra fattori economici e fattori politici

L’Imperialismo in quanto fenomeno economico

L’Imperialismo rappresenta il grado di maturità raggiunto dal Capitalismo, ma al tempo stesso è espressione delle crescenti difficoltà che questo fenomeno incontra nell’espandersi ulteriormente nelle aree di mercato tradizionale. Infatti l’inizio della fase imperialistica si manifesta in anni caratterizzati da una sovrapproduzione di merci e capitali e da un andamento negativo dei profitti, dei prezzi e della remunerazione del capitale. Una situazione che spinge i paesi più industrializzati a cercare nuovi punti di investimento e innovazioni tecnologico-produttive per recuperare le perdite.

L’Imperialismo come fenomeno economico ha diversi obiettivi: il controllo diretto delle materie prime e delle risorse minerarie dei paesi assoggettati, l’acquisizione di nuove aree d’investimento e sbocchi commerciali, il pareggio della bilancia commerciale dei singoli Stati in deficit sul terreno delle impostazioni agricole e dei materiali. Le concorrenze economiche si intrecciano con le rivalità geopolitiche, causando una competizione tra le nazioni che ridisegna rapidamente i rapporti di forza in ragione dei gradi dello sviluppo socio-economico dei paesi.

Alcuni casi paradigmatici di Imperialismo

Il caso dell’Africa e della Cina 

L’Africa è il continente che più viene preso di mira dalle potenze imperialiste. Le regioni settentrionali sono già sotto il controllo europeo (Algeria e Tunisia sono francesi, l’Egitto è un protettorato della Gran Bretagna, l’Eritrea è italiana), mentre nelle regioni equatoriali e subequatoriali la penetrazione coloniale non è ancora in uno stadio istituzionalizzato ed è finalizzata al controllo delle vie commerciali delle spezie e alla tratta degli schiavi (che si esaurisce solo negli anni Sessanta dell’Ottocento, quando gli Stati Uniti aboliscono la schiavitù). La nuova espansione coloniale viene promossa da un lato dalla necessità delle potenze mondiali di sfruttare le materie prime del continente, dall’altro dalla ripresa delle grandi esplorazioni geografiche. La spartizione dell’Africa è l’ultima grossa opportunità per le potenze europee di esternalizzare la concorrenza tra gli Stati. La saturazione del continente sarà proprio uno dei fattori che condurrà alla Prima guerra mondiale.

Viene scelta l’Africa sia in quanto area geografica priva di strutture politiche e sociali in grado di opporsi al Colonialismo, sia perché la maggior parte del mondo extraeuropeo in parte è stato già spartito nei decenni precedenti e in parte non si presta più a una politica coloniale in senso stretto. Per esempio la Cina con la sua debolezza politica e il suo enorme mercato, è molto ambita ed è oggetto di aggressioni di tipo imperialistico, da cui però si difende con delle prese di posizione xenofobe. Si pensi alla rivolta dei Boxer del 1898 contro l’influenza straniera, che culmina in una guerra tra il 1900 e il 1901, in cui un corpo di spedizione internazionale ha il sopravvento sulle truppe imperiali, occupa Pechino, massacra la popolazione e riafferma la supremazia europea sulla Cina.

Il caso degli Stati Uniti

Probabilmente il caso degli Stati Uniti è il migliore per mostrare il lato economico dell’Imperialismo e la sua specificità rispetto al Colonialismo. Gli USA, avviati a diventare la più forte nazione industriale, non hanno ambizioni coloniali, ma dimostrano una grande propensione all’Imperialismo facendo pressione sui paesi oggetto dei loro interessi economici. Le uniche annessioni territoriali secondo le logiche del Colonialismo tradizionale dirette sono quelle delle Hawaii e del Porto Rico.

Gli Stati Uniti sono ricchi di materie prime e metalli, perciò non hanno l’assillo del controllo diretto delle regioni che possiedono quelle ricchezze. Dopo aver completato la conquista dei territori dell’Ovest (essa stessa forma di colonizzazione interna ai danni delle popolazioni indigene), puntano a stabilire una propria sfera di influenza economica e politica sull’America latina e nell’area del Pacifico, piuttosto che un dominio coloniale. Nel 1889 si tiene la prima Conferenza panamericana, il cui tentativo è quello di coinvolgere l’intero continente americano in un’unica area doganale che garantisca nuovi mercati di sbocco commerciale e finanziario. Lì però gli Stati Uniti si scontrano con l’opposizione di Argentina e Cile e sono costretti a limitare le loro ambizioni all’area centro-americana. 

Da allora il ruolo degli Stati Uniti è quello di una grande potenza imperialistica in grado di influenzare la politica interna di altri paesi a favore dei propri interessi economici. Emblematica è la vicenda della costruzione del canale di Panama, avviata nel 1878 da una compagnia francese che non era riuscita a concludere l’operazione. Nel 1903 gli Stati Uniti promuovono un movimento separatista in Colombia che porta alla creazione del nuovo Stato panamense. Quest’ultimo firma un accordo che assegna agli Stati Uniti stessi il controllo della zona del canale, inaugurato nel 1914.

Il caso del Giappone

Altrettanto significativo è il caso del Giappone, paese sottoposto ai “trattati ineguali” ma determinato a ritagliarsi un’area di influenza politica ed economica. Con l’inizio dell’era Meiji nel 1868 si apre un periodo contrassegnato da un forte orientamento xenofobo, da una veloce occidentalizzazione del paese e dal decollo industriale. In questa fase, che costituisce la premessa per lo slancio economico, viene abolito l’antico ordinamento sociale su base feudale, viene riorganizzato il sistema giudiziario, vengono creati un esercito sul modello prussiano e una marina militare sul modello britannico. Il Giappone inizia la corsa imperialistica sul modello di sviluppo della Germania

Oggetto delle ambizioni giapponesi sono principalmente la Cina e l’Asia orientale, a cui però mirano anche Germania, Russia e Francia. Così l’intervento della diplomazia europea ridimensiona i già modesti risultati ottenuti dal Giappone nella guerra contro la Cina del 1894-95. Questa iniziale disfatta non fa che provocare un risentimento nazionalistico e un’ulteriore accelerazione delle politiche imperialistiche.

Le cose cambiano nel 1898 quando l’Impero zarista ottiene dai cinesi l’affitto della base strategica di Port Arthur e costituisce un protettorato militare in Manciuria. Il Giappone, consapevole della sua debolezza militare, all’inizio si limita a protestare con il governo russo, ma già nel 1902 si raggiunge un accordo tra Giappone e Gran Bretagna, che gli consente di imboccare una politica più aggressiva fino a provocare una guerra e a sconfiggere la Russia nel 1905. L’esito della guerra ha una rilevanza enorme, perché è la prima volta che una nazione extraeuropea prevale su una delle ex potenze mondiali. Ne risultano un mutamento nei rapporti di forza nella gara imperialistica e il riconoscimento dell’Imperialismo giapponese come una realtà.

Gli effetti dell’Imperialismo

Gli effetti a breve termine

L’effetto più evidente del Colonialismo è la Prima guerra mondiale. Anche in questo caso è interessante notare l’intreccio di fattori economici e politici: il fatto che la guerra scoppi in un’area tutt’altro che strategica per gli interessi industriali e bancari è indice della causa non solo economica del suo scoppio. La guerra era lo sbocco inevitabile delle tensioni imperialistiche, ma dal punto di vista delle rivalità economiche non doveva necessariamente scattare lì, in quel momento e tra quegli schieramenti. Per esempio i contrasti economici erano forti anche tra Europa e Stati Uniti, più di quanto non lo fossero tra i capitali tedeschi e quelli anglo-francesi. 

Complessivamente, però, anche il bilancio economico dell’Imperialismo è problematico: la maggior parte delle nazioni assoggettate è ricca di materie prime minerali e vegetali, ma offre limitate opportunità di investimento di capitali e di sbocco commerciale per le industrie. Si pensava che le neo “colonie” sarebbero state le acquirenti dei prodotti finiti, tuttavia ciò non si verifica sia per la loro povertà, sia perché le produzioni locali iniziano a fare concorrenza a quelle della madrepatria, sia perché le banche sono restie a finanziare imprese private nei paesi arretrati per paura dei fallimenti. Solo agli inizi del Novecento lo sfruttamento delle risorse coloniali inizia a essere razionalizzato e a dare una resa economica.

Gli effetti a lungo termine

Per essere compresi appieno gli effetti dell’Imperialismo economico vanno considerati in una dimensione di lungo periodo rispetto alla storia politica e diplomatica. Nel lungo periodo, infatti, l’Imperialismo contribuisce al ridisegno della geografia internazionale dell’espansione capitalistica. Intere aree del pianeta adottano il sistema capitalistico di produzione, il più delle volte a scapito della realizzazione di un proprio modello di transizione all’economia industriale, magari più equilibrato anche se più lento.

Questo significa che paesi potenzialmente in grado di avviare la propria trasformazione economica in senso industriale (come per esempio Egitto, India e Cina) subiscono un ritardo storico proprio a causa delle politiche imperialistiche. Inoltre bisogna contare il montare del risentimento nei paesi sottomessi: lo stravolgimento delle forme di relazione tradizionale è spesso così estremo e le modalità del dominio così tanto dure da provocare fenomeni di acceso nazionalismo, che poi sfociano nella xenofobia. Paradossalmente l’Imperialismo sollecita e allo tempo stesso impedisce il raggiungimento di uno sviluppo economico e sociale più avanzato.

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