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Maschilismo, mascolinità tossica e misandria

Dic 22, 2021

Maschilismo, mascolinità tossica e misandria hanno avuto importanti conseguenze sul periodo di transizione che stiamo vivendo: parliamone insieme.

Un nuovo posto nella società

Dalla fine del XIX il genere femminile ha iniziato un percorso che l’ha portato ad avere un posto nella società totalmente nuovo, libero dalle mura domestiche. Questo processo non è stato semplice e non è ancora finito. Da quando autrici, autori e intellettuali hanno iniziato a sottolineare i diritti che ogni donna ha per nascita e a denunciare le conseguenze della società maschilista, gli ostacoli sono stati numerosi.

L’uomo, tradizionalmente “simbolo” di intelligenza, razionalità e potere, deve finalmente imparare a interfacciarsi con un essere diverso che per secoli è rimasto in silenzio, ma questa volta su un piano paritario. La sua reazione può presentarsi in due modi:

  1. Rigetto (anche latente): caratteristico dei secoli scorsi come dei nostri giorni. Si muove attraverso stereotipi, sessismo e pressioni sociali.
  2. Accettazione: non solo l’uomo accetta la realtà, ma è pronto a collaborare con la donna in un processo di arricchimento reciproco. Nel nuovo millennio sono nati movimenti e nuove terminologie in merito alla questione, ma disinformazione e interpretazioni sbagliate condannano l’iter a un rallentamento. Tali processi non portano problemi solo alle donne, ma anche agli uomini.

Femminismo

Spesso il termine “femminista” viene usato in modo dispregiativo, senza averne compreso il reale significato. Moltз pensano che identifichi chi crede nella supremazia femminile, ma non ci sarebbe definizione più errata per illustrare l’attuale scuola di pensiero del femminismo anche descritto come intersezionale.

Per definizione, femminismo significa: “movimento che lotta per la parità dei generi in ambito giuridico, economico e sociale”. Non implica la prevalenza di un genere sull’altro e non preclude l’esistenza di diversità tra le varie identità di genere. Anzi, dagli anni ’80 il movimento cerca di esaltarne le differenze, considerandole risorse. Potremmo definire il femminismo come soluzione del conflitto tra misoginia o maschilismo e misandria: una retta intermedia che divide i due mondi cercando di agevolare tutte le identità di genere.

Misoginia e Maschilismo

Se il femminismo ricerca equilibrio tra le diverse identità di genere, il maschilismo promuove la supremazia del sesso maschile. Questo fenomeno e modo di pensare porta a comportamenti misogini. Il maschilismo non si manifesta soltanto negli eventi eclatanti come il femminicidio, ma anche nel considerare la donna di intelletto inferiore e nella sua preclusione da attività e mansioni considerate prettamente maschili. Concettualmente, il maschilismo colloca l’uomo in una posizione privilegiata e in una sorta di “comfort-zone”, dal momento che ricerca una posizione di predominio. Però tale situazione comporta diverse difficoltà anche al genere maschile stesso.

Mascolinità tossica

Secondo il movimento transfemminista intersezionale il sistema della società potrebbe essere rappresentato tramite un piano cartesiano, dove l’intersezione dei valori positivi e più alti rappresentano le caratteristiche accettate, stereotipate e positive per la società, imponendo un soggetto che le rispecchia su un piedistallo rispetto a quello che non lo fa.

Per esempio: una persona prestante fisicamente verrà considerata più importante di una persona disabile che vive in un ambiente inospitale, oppure una donna bianca verrà considerata più importante di una nera.

Questo porta ad elevare un uomo bianco, maschio, eterosessuale, benestante, prestante fisicamente ed estroverso su un piano superiore rispetto a chiunque altro. Di conseguenza però lo obbliga a rispettare rigorosamente tutte le regole e le caratteristiche imposte per evitare di perdere il proprio privilegio ed essere declassato.

Da sempre la società patriarcale esercita una pressione sull’uomo per fargli rispettare questo prototipo di mascolinità che può essere definita a buon diritto tossica, perché imposta e causante di comportamenti nocivi per lo stesso e per gli altri.

L’uomo, come anticipato, nella società patriarcale è simbolo di potere e indipendenza, ma anche di coraggio e successo. Egli ha dunque dei limiti che deve rispettare, ma che nuocciono a lui, alla società e al rapporto tra questa e le altre identità. Ad esempio, l’uomo non può permettersi di essere sensibile, perché questa è considerata una caratteristica della donna, stereotipicamente emotiva e vulnerabile. Non potendo esprimere emozioni e sentimenti associati alla debolezza, l’uomo perde il contatto con se stesso ed eccede in ciò che Carl Jung avrebbe definito animus, l’inconscio lato maschile che appartiene a ogni genere.

Da qui si arriva alla figura dell’inetto descritta da Italo Svevo. Nel romanzo La coscienza di Zeno, infatti, si osserva bene come il protagonista e tutti gli altri personaggi maschili lottino per riflettersi in quello che è il “maschio alpha” di successo. Alla fine, questo meccanismo porta alla morte del cognato “suicida” Guido Speier e alla nevrosi di Zeno. La ragione? L’uomo si sente a disagio a esprimersi emotivamente, ma allo stesso modo è bloccato inconsciamente. Se all’esterno prova vergogna per aver versato lacrime ed essere additato come una “femminuccia”, dentro di sé non riesce a comprendere ciò che prova.

“Poiché avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesi, ti imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza”

Oriana Fallaci

In sintesi, l’uomo viene idealizzato tramite canoni irraggiungibili e inumani. Se, come dice Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato, l’uomo ha diversi privilegi e possibilità – come dire la propria opinione o lavorare in posti di alta responsabilità senza servirsi del bell’aspetto – dall’altra parte si ritrova nella sua stessa trappola, che ha costruito per giustificare le angherie che fa patire al genere femminile.

La mascolinità tossica non si limita alle emozioni e investe anche forme d’espressione come con il vestiario, la professione e le aspirazioni.

Misandria

L’eccesso e la ricerca all’estremo polo del femminismo provoca reazioni spiacevoli come il maschilismo, ma non solo. Il femminismo infatti funziona proprio grazie all’equilibrio che ha creato: Un equilibrio suscettibile, sicuramente, ma che rende la diversità un pregio e non un difetto. Se però il femminismo fosse portato all’estremo, avrebbe conseguenze spiacevoli. Si parla in questo caso di misandria, l’eccesso opposto alla misoginia: è una condizione che cerca la supremazia femminile e potremmo identificarlo come la medaglia capovolta del maschilismo.

In questo senso, l’uomo risulta più soggetto a limiti che si avvicinano alla mascolinità tossica e non solo. Come la donna nell’orizzonte della società patriarcale, sarebbe privato della possibilità di essere ascoltato, verrebbe deriso e considerato a priori maschilista. Additato come una voce fuori dal coro e perciò sbagliata, l’uomo perderebbe la libertà di parola, di pensiero e di qualsiasi forma di espressione. Questo, però, comporterebbe anche conseguenze negative sulla donna, esattamente come il maschilismo sull’uomo.

Il presente

Da questa realtà distopica passiamo ora al nostro presente, ancora spaccato tra patriarcato e lotta in nome della parità dei generi. La misandria esiste anche oggi e colpisce gli uomini e le donne in diversi ambiti. Se per secoli il posto della donna è stato quello “dell’angelo del focolare” e di madre, oggi questo principio, in parte ancora vivo nell’immaginario collettivo, si riflette negativamente sull’uomo.

Culturalmente la cura dei figli è riservata alle madri e pur esonerando l’uomo dalle proprie responsabilità, lo pone  in circostanze spiacevoli: prima che fosse stabilito l’affidamento condiviso, un uomo non poteva prendere in affidamento i figli in caso di divorzio, nonostante potesse risultare il genitore più indicato. Allo stesso modo professioni come la babysitter o l’insegnante della scuola dell’infanzia o primaria vengono considerati lavori prettamente femminili e danneggiano la figura dell’uomo con stereotipi e pregiudizi.

Questo però non ha risvolti negativi solo nella vita pratica e lavorativa, ma anche in quella emotiva e intellettuale. Per esempio, un uomo che si interfaccia nel mondo femminile e del femminismo, spesso e volentieri viene additato come un maschilista vestito da agnello. Purtroppo episodi del genere sono successi e continuano ad accadere tutt’oggi, sia nelle manifestazioni femministe della branca radicale e binario esclusiva, sia nelle diverse espressioni esistenti: artistiche, intellettuali  e d’informazione.

Atteggiamenti del genere non possono che essere controproducenti, sia per l’uomo che per la donna; il primo si sentirà escluso, inerme e forse anche giustificato a non fare niente per cambiare attivamente il mondo che lo circonda per renderlo ospitale alle diversità, la seconda si troverà priva di alleati eterogenei. Questo perché i cambiamenti avvengono se c’è consapevolezza collettiva e individuale, se tutti conoscono i propri diritti e quelli degli altri e i limiti attui al rispetto reciproco: in tale modo la rivoluzione iniziata il secolo scorso sarà irreversibile e indolore.  

L’equilibrio

Non esiste una formula perfetta che, nell’enorme varietà ed eterogeneità della natura umana, faccia sentire tuttз a proprio agio. Possiamo però cercare di sostenere un equilibrio che ci permetta di rispettare e valorizzare le differenze. Questo ci darà la possibilità di non essere contraddittori, per esempio in situazioni in cui si richiede libertà di parola per tutti, ma poi si tacciono le voci fuori dal coro. Esaltare le differenze, del resto, non è altro che porre ogni individuo sullo stesso piano, perché ogni soggetto è di per sé una minoranza che ha qualcosa da esprimere. Avere equilibrio vuol dire cercare il dialogo e non attaccare qualcuno che non fa parte di alcuna minoranza solo perché non condivide le nostre opinioni.

Solo in questa maniera riusciremo a essere coscienti di avere preconcetti e pregiudizi da sradicare e potremo capire che una donna non è solo vulnerabilità, che il colore della pelle poi non conta, che l’opinione di un religioso non è necessariamente estremista o omofoba. Capiremo che l’opinione di un uomo non è per forza sessista, che chi ha dei valori diversi dai nostri non è una persona da allontanare. E soprattutto ci sarà chiaro che opinioni, diversità valoriali e differenze di ogni sorta possono e devono creare dialogo e condivisione.

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