Il termine fascismo può essere inteso in due modi: per un verso come un movimento politico che scuote l’Europa nei primi anni del Novecento; in questo senso quello di fascismo va quasi a sovrapporsi al concetto di totalitarismo. Difatti il fascismo italiano è stato il modello a cui si sono ispirati tutti i successivi totalitarismi di destra, tra cui per esempio il nazismo di Hitler e la dittatura di Francisco Franco in Spagna. Per un altro verso, possiamo usare il termine fascismo per indicare il regime autoritario che ha governato l’Italia dal 1922 (data della Marcia su Roma) al 1945 (data della morte di Mussolini e della fine della Repubblica di Salò). In questo senso si tratta di più di vent’anni di storia italiana che ne hanno segnato profondamente l’identità e il futuro.
In questi appunti ci concentreremo sul secondo modo di intendere il termine fascismo. Inizieremo guardando alla nascita del fascismo: dalle sue origini, alle condizioni che ne hanno favorito l’ascesa al potere, fino al passaggio da movimento a regime. Successivamente analizzeremo le condizioni dell’Italia sotto il fascismo, sia in termini di politica interna che di politica esterna. Infine, vedremo le sorti del fascismo e del popolo italiano durante la Seconda guerra mondiale, prestando particolare attenzione al passaggio da paese occupante a paese occupato.
La nascita del fascismo
Come tutti i totalitarismi, anche il fascismo nasce dall’incontro di diversi fattori: forti condizioni di disagio, un capo carismatico che promette di migliorare la situazione e l’uso della violenza. In questa prima parte vedremo come questo si applica al caso italiano ripercorrendo le principali tappe che hanno portato il movimento fascista a prendere il potere e trasformarsi in un regime autoritario: la nascita dei Fasci di combattimento, la Marcia su Roma e l’assassinio di Giacomo Matteotti.
I Fasci di combattimento e il fascismo degli inizi
Le condizioni di disagio dell’Italia del primo dopoguerra sono tante. La Prima guerra mondiale ha duramente provato il sistema economico italiano, le condizioni sono critiche ed è difficile riconvertire l’economia bellica a un’economia civile. Questo si ripercuote in enormi mutamenti sociali: dai soldati tornati dal fronte che si trovano in una posizione di svantaggio, alle donne che hanno dato il loro contributo durante la guerra e ora domandano un riconoscimento sociale, dalle richieste di migliori condizioni di lavoro degli operai alla domanda di terre dei contadini. Ma soprattutto serpeggia la sensazione di non aver ricevuto tutto quello che era stato promesso dagli accordi di pace, soprattutto in termini territoriali. Insieme a un orgoglio ferito e a un montante nazionalismo, inizia a circolare l’espressione “vittoria mutilata”.
Il malcontento diventa terreno fertile per azioni di sciopero e rivolta (spesso coordinati o supportati dalla Russia sovietica e dall’Internazionale comunista). contadini occupano i terreni e marciano per reclamare ciò che gli era stato promesso in tempo di guerra, gli operai scioperano o tentano di prendere il controllo delle fabbriche. Non a caso gli anni del 1919 e del 1920 sono chiamati “Biennio rosso”, il quale avrà diversi effetti. Se da un lato gli operai ottengono aumenti salariali e la giornata lavorativa di 8 ore, dall’altro lato i ceti medi, gli industriali e i grandi proprietari terrieri iniziano a temere un totale sconvolgimento del sistema. La crescente paura della rivoluzione comunista e la difficoltà dei governi liberali nel contrastarli avvicinano questa parte di popolazione all’estrema destra, favorendo l’ascesa del fascismo.
È in questo scenario, nel 1919, che nasce un nuovo movimento: i Fasci di combattimento. Inizialmente non erano altro che milizie private (dette “squadracce”) dedite a punire e minacciare contadini e operai (questo dimostra come l’uso della violenza sia alla base del fascismo). Erano guidati da Benito Mussolini: giornalista e politico, ex-socialista cacciato dal partito per le sue posizioni interventistiche durante la Prima guerra mondiale.
Nel giro di poco più di due anni il movimento dei Fasci di combattimento diventa una vera e propria forza politica che si presenta come lo schieramento che intende ricostituire l’ordine e far risorgere la patria (ottenendo il consenso della borghesia e dei nazionalisti) e che al contempo vuole operare radicali riforme sociali (ottenendo la simpatia di operai e contadini). Il fascismo degli inizi è molto contraddittorio e si caratterizza per l’essere un’ideologia dell’anti: anticapitalista, antiliberale, anticlericale, antimonarchico. Nel corso della sua storia, però, si dimostrerà unicamente antiliberale.
L’ascesa al potere del fascismo: dalla Marcia su Roma all’assassinio di Matteotti
Nel 1921 i Fasci costituiscono un vero e proprio partito (il PNF, Partito nazionale fascista). L’obiettivo di Mussolini è quello di proporsi come leader credibile e controllare l’ala più violenta. L’anno successivo i fascisti partecipano alle elezioni insieme ai liberali e alle forze politiche di centro, ma non ottengono la maggioranza dei seggi. Le tensioni e le violenze aumentano fino all’ottobre del 1922 quando Mussolini decide di prendere il controllo con la forza: insieme a migliaia di fascisti (le cosiddette “camicie nere”) marcia verso Roma. Giunti alle porte della città, il re Vittorio Emanuele II potrebbe facilmente far intervenire l’esercito e disperderli, ma si rifiuta di farlo e al contrario affida a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo.
Il fascismo è al potere, ma non è ancora totalitarismo: questo si costruisce tramite una graduale trasformazione delle istituzioni democratiche verso una dittatura. I primi passi di questa operazione sono la creazione del Gran Consiglio del Fascismo (l’organo direttivo del partito che ben presto si sostituisce di fatto al governo) e l’approvazione della Legge Acerbo. Si tratta di una riforma elettorale che assegna al partito di maggioranza quasi tutti i seggi parlamentari, eliminando di conseguenza il reale peso politico dell’opposizione.
Ma c’è un evento su tutti che segna il passaggio al regime totalitario: l’assassinio di Giacomo Matteotti, avvenuto nel 1924. Matteotti era un deputato socialista che aveva denunciato le violenze dei fascisti e i brogli delle ultime elezioni parlamentari. Quando viene aggredito e ucciso in pieno giorno, la risposta dell’opposizione è molto debole e non sortisce nessun effetto (è la cosiddetta “Secessione dell’Aventino”). Il colpo finale è un discorso di qualche mese dopo, durante il quale Mussolini si assume la responsabilità politica, morale e storica del delitto. È la fine del sistema democratico e delle libertà che esso proteggeva.
L’Italia sotto il fascismo
Una volta preso il potere, l’influenza del fascismo sulle vite degli italiani e delle italiane si fa capillare. È proprio questo che si cerca di catturare con l’espressione “totalitarismo”: lo Stato cerca di controllare in modo totale l’esistenza dei propri cittadini e delle proprie cittadine (e spesso e volentieri ci riesce); questo è quello che accade in politica interna. In politica estera, invece, il fascismo si caratterizza per la sua aggressività e volontà di espansione. Il caso più tragico è l’invasione dell’Etiopia, parte della dimenticata storia del colonialismo italiano.
Politica interna del fascismo
Il passaggio da movimento a regime totalitario si concretizza tra il 1925 e il 1926 con l’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime”: una serie di provvedimenti volti a concentrare tutto il potere verso l’esecutivo e il suo capo (ovvero Mussolini) e a stroncare l’opposizione interna limitando la libertà di associazione ed espressione e istituendo una polizia segreta (l’OVRA) volta alla repressione dei dissidenti. Nel giro di pochi anni il partito fascista diventerà l’unico partito esistente, verrà reso illegale lo sciopero e si instaurerà una censura feroce su tutti i mezzi di comunicazione ed espressione.
Accanto a queste misure di repressione del dissenso, ce ne sono tante altre per la creazione del consenso e la mobilitazione delle masse. Il fascismo opera una vera e propria ristrutturazione sociale: la società viene divisa in compartimenti stagni, organizzati per categorie o per età anagrafica. La scuola, l’università e le organizzazioni giovanili (come l’Opera Nazionale Balilla e i Gruppi Universitari Fascisti) svolgono un ruolo fondamentale nell’educare le giovani menti alla violenza e all’ideologia fascista. L’ambizione è quella di creare un “uomo” nuovo, virile e forte, e di controllare la formazione dei propri cittadini fin dall’infanzia. Per molti bambini nati in Italia tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30 del Novecento purtroppo questa ambizione è diventata realtà.
A questa riorganizzazione sociale si aggiungono la propaganda e le ritualità civili. Da un lato, il regime fascista esercita un controllo totale sulla cultura e sui mezzi di comunicazione attraverso istituzioni come il Minculpop (ovvero il Ministero della Cultura Popolare) e l’Istituto Luce. Dall’altro, adunate di piazza e momenti collettivi celebrativi della patria contribuiscono a creare sorta di “religione civile” che entri nella quotidianità degli italiani e delle italiane.
Ci sono ulteriori elementi che hanno contribuito al consolidamento del fascismo. Anzitutto, possiamo nominare le bonifiche delle paludi e l’autarchia, ovvero la ricerca dell’autosufficienza produttiva. Entrambe sono due soluzioni di propaganda usate per raccogliere ulteriore consenso, senza però ottenere dei reali vantaggi a livello economico o sociale. Importanti sono anche i “Patti lateranensi”: accordi presi nel 1929 con la Chiesa che rendono la religione cattolica la religione ufficiale dello Stato, ottenendo un ulteriore controllo sull’opinione pubblica.
Politica estera del fascismo
Come tutti i totalitarismi, anche la politica estera del fascismo è molto aggressiva. Il culto della violenza e della patria, la tendenza a considerare tutto ciò che è altro come un nemico, la nostalgia di Roma e del suo Impero: tutti questi elementi dell’ideologia fascita contribuiscono a determinarne la politica espansionista e colonialista. Tuttavia, nei primi anni del regime fascista, Mussolini è prudente e si limita ad aggressioni verbali. Le cose iniziano a cambiare verso gli anni ‘30, quando gli equilibri all’interno dell’Europa iniziano a incrinarsi.
Il momento più importante e paradossalmente anche più dimenticato è “l’impresa coloniale” del fascismo ai danni dell’Etiopia. Quella del colonialismo italiano non è una storia che nasce con il fascismo: già nell’Ottocento il neonato Regno d’Italia aveva tentato di invadere territori dell’Africa e dell’Asia, spesso con risultati disastrosi (famosa è la sconfitta di Adua nel 1896). Ma proprio la voglia di “riscatto” e di ricostituire un Impero portano Mussolini a riprendere gli sforzi coloniali con rinnovata violenza.
Nel 1935 l’Italia fascista invade a tradimento l’Etiopia, senza alcuna dichiarazione di guerra. Nel giro di un anno vince occupando la capitale Addis Abeba e dà vita all’Africa Orientale Italiana (AOI), costituita dalle attuali Eritrea, Etiopia e Somalia. Tuttavia facendolo il popolo italiano si macchia di atroci crimini di guerra: dall’uso di gas letali allo sterminio metodico della popolazione. I lati oscuri dell’impresa coloniale venivamo, ovviamente, nascosti agli occhi dell’opinione pubblica (cosa che purtroppo continua anche ai giorni nostri). La Società delle Nazioni cerca di porre un freno all’aggressività del fascismo ponendo delle sanzioni; cosa che però non fa altro che rafforzare il consenso interno, che trova in queste imposizioni esterne un nemico contro cui unirsi.
Un altro involontario risultato delle sanzioni è quello di avvicinare Italia e Germania, che fino a quel momento non erano stati in buoni rapporti diplomatici. Nel 1936 due eventi mostrano bene questo progressivo avvicinamento: la costituzione dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo in cui le tre potenze sottoscriventi si dividono le aree di influenza (rispettivamente Mediterraneo, Europa e Asia) e l’invio congiunto di truppe italo-tedesche in appoggio al generale Francisco Franco durante la Guerra civile spagnola (1936-1939). Infine l’alleanza si consolida definitivamente nel 1939 con la firma del Patto d’Acciaio, un accordo di mutua difesa in caso di guerra. Di questi temi parliamo in modo più approfondito in questi appunti sul primo dopoguerra.
Il fascismo durante la guerra
Abbiamo già parlato della Seconda guerra mondiale in questa videolezione. Quindi in quest’ultima sezione ci limiteremo a riassumere gli aspetti più importanti dal punto di vista del fascismo e dell’Italia, facendo un approfondimento sul tema della Shoah.
L’Italia occupante (1940-1943)
All’inizio delle ostilità l’Italia fascista si dichiara “non belligerante” e non per motivi pacifisti, ma semplicemente per l’assoluta impreparazione economica e militare. Tuttavia, la guerra lampo condotta dai nazisti porta enormi risultati: sembra quasi scontato che la Germania di Hitler abbia già vinto. È così che, con un atto di puro opportunismo, nel giugno del 1940 Mussolini cerca di “salire sul carro del vincitore” e attacca la Francia, già praticamente sconfitta. L’Italia entra in guerra.
Tuttavia l’inadeguatezza dell’assetto economico e l’impreparazione dell’esercito si rivelano nel fallimento delle successive campagne in Nord Africa ed Est Europa dove perderà sistematicamente contro l’Inghilterra e avrà costante bisogno di essere aiutata dall’alleato. La gestione della guerra da parte del fascismo sarà una catastrofe su tutti i fronti: le promesse fatte non saranno mantenute, migliaia di soldati saranno morti invano e la popolazione a casa faticherà a vivere e morirà di fame.
A tutto questo si aggiunge la discriminazione e persecuzione degli ebrei. Già nel 1938 l’Italia aveva pubblicato il Manifesto della Razza dove, appoggiandosi su teorie pseudo-scientifiche, si affermava la superiorità della razza italica su quella ebraica. Sulla base di queste “teorie” (o meglio pregiudizi ideologici) lo Stato fascista effettua una graduale persecuzione dei diritti: nel giro di pochi anni gli ebrei passano da non poter votare e ricoprire cariche pubbliche, all’essere espulsi dalle scuole e dalle università, a non poter sposare un non-ebreo, fino a non poter lavorare in praticamente nessun settore. Il risultato è la completa esclusione delle persone di origine ebraica dalla vita sociale e politica del paese.
L’Italia occupata e la Repubblica di Salò (1943-1945)
In Italia il 1943 è segnato dalla caduta del fascismo. Il consenso attorno al fascismo inizia a sgretolarsi: dopo un ventennio di dittatura, violenze e restrizioni delle libertà e dopo tre anni di guerra, fame e cocenti sconfitte lo sconforto cresce, insieme alla voglia la pace. Ne sono un esempio gli scioperi che scuotono il Nord Italia nel 1943. Inoltre quando gli Alleati sbarcano in Sicilia e cominciano a risalire la penisola Mussolini viene messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo e su ordine del re Vittorio Emanuele III viene arrestato e tenuto prigioniero sul Gran Sasso. Contemporaneamente, viene sciolto il partito fascista e il governo è affidato al maresciallo Badoglio, il quale firma l’armistizio e la resa incondizionata.
L’armistizio segna un vero e proprio spartiacque, sotto diversi aspetti. Alla notizia quasi tutti festeggiano, convinti che la guerra sia finita, ma purtroppo non è così. Nel giro di pochi giorni l’esercito nazista occupa l’Italia e scende fino a intercettare le forze alleate sulla cosiddetta linea Gustav, all’altezza di Cassino. Mussolini viene liberato e nei territori italiani occupati è costituita la Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò, un nuovo stato fascista sottomesso alla Germania nazista. L’Italia si trova così a essere lacerata in due e a passare da paese occupante a paese occupato da ben due forze diverse (quella nazista e quella anglo-americana).
Se questo accade a livello macro, l’armistizio costituisce uno spartiacque anche per ogni singolo individuo. Dopo vent’anni di dominio, propaganda e repressione finalmente davanti agli italiani e alle italiane si apre la possibilità di prendere una posizione. Tra questi anche tantissime e tantissimi giovani che, nonostante non abbiano conosciuto altra educazione se non quella fascista, scelgono di opporsi al nazifascismo, spesso in modo radicale, e spesso perdendo la vita.
I nazisti inizialmente cercano di porsi come “occupanti alleati”, improntando l’occupazione verso una collaborazione con la popolazione italiana. Tuttavia, non ottenendo una risposta positiva, la tensione e la violenza cresce rapidamente sfociando in numerose rappresaglie contro la popolazione civile. Rimangono nella memoria italiana le stragi di Boves, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto e delle Fosse Ardeatine. Contemporaneamente cominciano le deportazioni razziali: ora, oltre ai diritti, si perseguono anche le vite degli ebrei italiani. In Italia i principali campi di partenza o di transito erano Fossoli (in provincia di Modena), Borgo San Dalmazzo (nei pressi di Cuneo), Gries (a Bolzano) e la Risiera di San Sabba (a Trieste). Quest’ultimo era l’unico campo italiano in cui si praticava anche lo sterminio. È importante sottolineare che alle stragi, alle vessazioni e alle operazioni di deportazione partecipano anche i fascisti della Repubblica Sociale italiana, pur rimanendo il vero controllo delle operazioni in mano ai nazisti.
L’esperienza del fascismo e della Repubblica di Salò si concluderà il 28 aprile 1945 con la morte di Mussolini. Dopo più di due anni di guerra di liberazione combattuta dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e dalle forze Alleate, ma soprattutto dopo più di due anni di guerra civile combattuta tra partigiani e repubblichini, con la popolazione locale che supporta gli uni o gli altri, oppure resta indifferente e cerca di sopravvivere. Ad ogni modo sarà in gran parte grazie alla Resistenza che alla fine l’Italia, nonostante vent’anni di fascismo, non verrà considerata una nazione sconfitta da punire, ma un paese al quale si riconosce di aver lottato a caro prezzo per riacquistare la propria libertà e dignità.