Callimaco di Cirene (fine IV secondo a.C. – 235 a.C.) è stato un poeta-filologo vissuto in età ellenistica. Bibliotecario presso la Biblioteca di Alessandria e autore di numerose opere di stampo sia poetico che erudito. È forse il miglior rappresentante della nuova figura dell’intellettuale e della nuova letteratura tipica dell’ellenismo.
La letteratura durante l’età ellenistica
Il termine ellenismo indica una fase particolare della storia della civiltà greca, ossia il periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e la battaglia di Azio (31 a.C.). La nuova realtà socio-politica costituita dal vastissimo impero di Alessandro determina una svolta fondamentale nello sviluppo della civiltà greca, che continua anche dopo la sua morte e la dissoluzione dell’impero nei cosiddetti “regni ellenistici”. I Greci, fino a quel momento legati alle comunità fortemente identitarie delle varie poleis, si trovano inseriti in uno stato unitario ed eterogeneo. Questa nuova realtà cosmopolita favorisce il diffondersi della lingua e della cultura greca e determina un cambiamento nella concezione dell’essere umano, che ora si percepisce come cittadino del mondo. La lingua ufficiale dell’impero di Alessandro è chiamata koinè dialektos, propriamente “lingua comune”: progressivamente decadono i dialetti greci delle varie regioni e si diffonde una lingua standard a base ionico-attica parlata ovunque.
La letteratura rispecchia perfettamente i cambiamenti sociali, culturali e politici dell’età ellenistica. In una società cosmopolita cambia anche la concezione di letteratura e, di conseguenza, di letterato: egli non si rivolge più ad una polis o alla comunità locale di appartenenza, bensì ai suoi pari, a chi cioè è in grado di leggere i suoi testi. Si parla infatti di “civiltà del libro”, che fa uso di una letteratura concepita in forma scritta e fruibile da parte di pochi. I testi di età ellenistica sono pensati per essere letti e fanno quindi uso di giochi verbali, allusioni dotte e parole ricercate. Al contrario, fino a questo momento i grandi generi della letteratura si esprimevano attraverso l’oralità e le opere erano concepite in stretta connessione con il contesto di fruizione.
La cultura letteraria e la nascita della filologia
In età ellenistica si stabilisce un profondo legame tra il potere politico e i letterati: i sovrani, promotori delle arti e mecenati dei poeti, offrono loro protezione e in cambio questi ultimi mettono la loro arte al servizio del potere, celebrandone la stirpe, le virtù e le imprese. Capitale della cultura ellenistica è Alessandria d’Egitto, dove Tolomeo I Sotere e il figlio Tolomeo II Filadelfo fanno costruire il Museo e la Biblioteca, due istituzioni che accolgono studiosi da tutto il Mediterraneo e che diventano fondamentali per lo sviluppo e la conservazione della letteratura e la nascita della filologia. Quest’ultima è la disciplina che si occupa dello studio, dell’interpretazione e della ricostruzione dei testi e che nasce proprio nella Biblioteca di Alessandria, grazie all’eccezionale lavoro ecdotico ed esegetico dei cosiddetti grammatikoi.
Obiettivo del loro lavoro era raccogliere, fissare e ordinare i testi della letteratura, in modo che non fossero alterati. Realizzano così due tipi di opere esegetiche, che riguardano cioè l’interpretazione del testo: i commentari (υπομνημα), che commentano passo passo il testo antico, e i trattati monografici (συνγραμμα), che esaminavano un singolo argomento. Vengono realizzate anche opere lessicografiche, per la raccolta di parole rare e termini propri dei vari autori, e raccolte paremiografiche, ossia raccolte di sentenze. Tutti questi materiali confluiscono negli scholia medievali, cioè le annotazioni presenti nei margini dei manoscritti greci a partire dal IX d.C.
Gli studiosi attivi alla Biblioteca di Alessandria si dedicano sia a studi eruditi sia all’attività poetica: sono dei veri e propri poeti-filologi. Tra questi, Callimaco è sicuramente il caso più celebre: si occupa di catalogare le opere che giungevano alla Biblioteca da tutto il Mediterraneo e, allo stesso tempo, è uno dei poeti più prolifici ed eccezionali del suo tempo.
Altri importanti bibliotecari sono Zenodoto di Efeso, Apollonio Rodio, Eratostene di Cirene, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia. Altre capitali ellenistiche sono Pergamo, Antiochia, Rodi, Cirene e Cartagine.
La poesia ellenistica: una docta poesis
La letteratura di età ellenistica si caratterizza per un forte sperimentalismo rispetto a quella delle età precedenti. Innanzitutto, si assiste ad un rinnovarsi dei generi tradizionali e, più nello specifico, alla loro contaminazione: all’interno di una stessa opera si possono trovare caratteristiche appartenenti a generi differenti. All’interno di una “civiltà del libro”, in cui il pubblico è costituito da lettori dotti, le sperimentazioni e l’originalità sono molto più apprezzate dell’applicazione rigorosa delle norme dei generi.
Un’altro elemento fondamentale per comprendere la produzione ellenistica è il rapporto tra i poeti di quest’epoca e la tradizione precedente. Si tratta di poeti-filologi, che conoscono e studiano a fondo i grandi autori dell’età arcaica e classica: non è un caso che proprio nella Biblioteca di Alessandria venga stabilito il canone poetico degli autori che meglio rappresentano i diversi generi. Gli Alessandrini dunque studiano e passano al vaglio critico l’opera degli autori del passato, imparando ad apprezzarla e avendone ben presente i caratteri nel momento in cui essi stessi fanno poesia.
Rispetto ai modelli, però, questi poeti-filologi hanno un atteggiamento ambivalente, compreso tra l’emulazione e la distanza. Da un lato, non possono che ammirare e desiderare imitare i capolavori della letteratura greca arcaica e classica. Tuttavia, dall’altro lato, rivendicano l’originalità della propria poesia e rifiutano l’imitazione pedissequa. Gli esempi migliori di questa poesia, detta anche docta poesis, fanno proprio il principio dell’imitatio cum variatione: il modello viene imitato e richiamato in maniera ben riconoscibile dal poeta, ma con una variazione originale spesso erudita e sottile che ne rivela l’abilità.
Sul piano formale, la nuova poesia è dunque un prodotto di labor limae: si caratterizza per la ricerca della perfezione formale, l’originalità e i tratti eruditi e allusivi. Questo sperimentalismo si riflette anche sulla lingua dei testi, spesso giocata su accostamenti dialettali o sul recupero di modelli tradizionali, e sui contenuti, che riguardano gli aspetti più curiosi e particolari della materia poetica tradizionale. Particolarmente rilevante è la vocazione eziologica della nuova poesia: spesso gli esempi di questa nuova poesia hanno come obiettivo la ricerca delle cause e delle origini di usi, riti, luoghi e tradizioni.
Callimaco di Cirene
All’interno di questo contesto si colloca Callimaco di Cirene, forse l’autore più rappresentativo della nuova poesia ellenistica, straordinario poeta e abilissimo filologo.
Nato a Cirene alla fine del IV a.C. in una famiglia nobile, lascia la città natia per recarsi ad Alessandria, dove è prima maestro di scuola e poi collaboratore della Biblioteca sotto Tolomeo II Filadelfo. Alla “connazionale” Berenice II di Cirene, sposa di Tolomeo III, Callimaco dedica la Vittoria di Berenice e la Chioma di Berenice, due celebri componimenti contenuti negli Aitia, la sua opera più famosa. Muore intorno al 235 a.C.
A differenza degli autori dell’età precedente, i poeti alessandrini sono spesso editori di sé stessi, e così anche Callimaco: cura la propria opera come quella degli autori su cui lavorava alla Biblioteca di Alessandria. Scrive moltissime opere erudite e numerosi testi poetici, ma della sua produzione non ci è giunto molto: i manoscritti medievali ci conservano quasi integramente soltanto sei Inni e sessantuno Epigrammi. Quanto al resto della sua produzione, una buona parte è trasmessa in forma frammentaria dalla tradizione indiretta (citazioni di altri autori nelle loro opere) e dai papiri. Questi ultimi riportano frammenti degli Aitia, dei Giambi e dell’epillio Ecale.
Tuttavia, la Suda, un importantissimo lessico del X secolo d.C., non menziona nessuna di queste opere poetiche, bensì menziona diversi titoli di opere perdute e attesta che Callimaco avrebbe scritto più di ottocento libri. Tra queste moltissime sono riconducibili alla sua attività di filologo alla Biblioteca: sono opere erudite e di soggetto mitologico come indici cronologici, liste di nomi di popoli e città, raccolte di glosse, eccetera. Le più importanti sono senza dubbio i Pinakes: un’opera in centoventi libri che classificava alfabeticamente tutti gli autori conservati nella Biblioteca e ne presentava la biografia e le opere.
Le opere di Callimaco
- Inni. I sei inni ci sono pervenuti grazie alla tradizione medievale e mostrano un’architettura rigorosa, probabilmente ascrivibile allo stesso Callimaco: un inno a Zeus; una triade di inni legata ad Apollo (ad Apollo, ad Artemide, a Delo); i Lavacri di Pallade; un inno a Demetra. I primi quattro sono inni cletici, contenenti cioè l’invocazione alla divinità, e hanno un colorito dialettale ionico, mentre gli ultimi due sono inni mimetici o drammatici, con la rievocazione di un rito, e hanno una patina linguistica dorica. Ad eccezione dei Lavacri di Pallade, scritti in esametri, gli altri inni sono tutti in distici elegiaci. In perfetta linea con la docta poesis del suo tempo, Callimaco applica il principio dell’imitatio cum variatione: recupera la tradizione innografica greca (si pensi agli Inni omerici), rinnovandola con scelte originali e ricercate. Gli Inni callimachei sono un esempio di contaminazione dei generi, un prodotto di raffinata ricerca erudita e di rielaborazione originale dei modelli e anche un ottimo caso di poesia eziologica: una testimonianza perfetta di poesia ellenistica.
- Aitia. Sull’eziologia si fonda questa raccolta di elegie, accomunate proprio dalla ricerca delle cause (aitia in greco significa “cause, origini”) e giunteci in forma frammentaria tramite i papiri e la tradizione indiretta. Si tratta dell’opera più celebre e più rappresentativa del poeta, che ne rivela la predilezione per l’elegia, la disponibilità a trattare temi variegati e la straordinaria erudizione, derivata dall’attività di filologo. L’opera è divisa in quattro libri: i primi due, che si aprono con il celebre Prologo dei Telchini (demoni invidiosi che simboleggiano i poeti avversari di Callimaco) e l’invocazione alle Muse, sono incorniciati dal colloquio tra queste e il poeta, che pone loro domande. I libri III e IV, invece, non hanno una cornice unitaria a cui ricondurre i vari aitia narrati. Alla fine del II e del IV libro si trovano rispettivamente la Vittoria di Berenice e la Chioma di Berenice, due componimenti poetici dedicati alla regina Berenice II di Cirene. L’opera si chiude con un Epilogo in cui il poeta afferma di voler passare al “pascolo pedestre delle Muse”, cioè al giambo. Si discute se gli Aitia siano un’opera della maturità o della giovinezza di Callimaco; le elegie sono state probabilmente composte nel corso della vita e pubblicate in due tempi diversi.
- Giambi. Ci sono pervenuti tramite frammenti papiracei tredici giambi attribuiti a Callimaco, ma degli ultimi quattro, scritti in metri lirici, è spesso stata messa in discussione la paternità. Questa scelta, però, potrebbe spiegarsi con la scelta di imitare cum variatione un genere tradizionale arcaico, il cui metro tradizionale è invece mantenuto negli altri nove componimenti. La variazione metrica, infatti, si somma a quella tematica, dal momento che accanto al tema tradizionale della satira se ne trovano altri assenti nei giambi di età precedente (aitia, canti in onore di divinità, epinici). Manca poi la carica aggressiva tradizionale del genere giambico, qui segnato piuttosto da un tono moraleggiante. La patina linguistica, invece, è quella ionica tipica del genere, seppur con qualche elemento dorico. Modello di riferimento per Callimaco è Ipponatte, a cui il poeta dichiara di rifarsi nel Giambo XIII.
- Epigrammi. L’epigramma è il genere ellenistico per eccellenza, breve, prezioso e adatto ad accogliere allusioni e riferimenti eruditi in ampi orizzonti tematici. Di Callimaco ci sono giunti sessantatre epigrammi soprattutto grazie all’Antologia Palatina, una raccolta di epigrammi di vari autori del X secolo d.C. I temi sono molto vari: si va dagli epigrammi dedicatori e sepolcrali a quelli amorosi, senza dimenticare i componimenti in cui il poeta rivendica la propria concezione dell’arte.
- Ecale. Si tratta di un epillio, cioè un breve componimento narrativo di carattere epico in esametri (“piccolo epos”). Il contenuto mitologico si unisce qui alla vocazione eziologica della poesia callimachea: Teseo, recatosi a Maratona per liberarla da un toro terribile, viene ospitato dalla vecchia Ecale, a cui l’eroe dedicherà in Attica il demo di Ecale e l’istituzione del culto di Zeus Ecaleio. Si tratta di un’opera ben distante dall’epica tradizionale: i temi tipici vengono reinterpretati in chiave quotidiana, la vera protagonista è Ecale (non l’eroe Teseo) e l’intera vicenda è un vero e proprio aition. Tipicamente ellenistici poi sono la cura dello stile, il lessico ricercato e il labor limae sulla rielaborazione dei modelli. Anche l’esametro, metro proprio dell’epica, risponde a regole rigide e si discosta da quello tradizionale più fluido.
La poetica di Callimaco
La chiave per comprendere la poetica di Callimaco è sicuramente il Prologo dei Telchini, che apre il primo libro degli Aitia. Qui il poeta risponde alle accuse dei suoi avversari, che lo accusano di non aver saputo comporre un poema “unitario e continuo” e di non aver cantato di dei ed eroi. La replica è la seguente: i principi a cui risponde la poesia di Callimaco sono la brevità, la dolcezza e l’originalità. Con questo il nostro poeta non disprezza Omero, che, anzi, è oggetto delle devote attenzioni dei filologi di Alessandria e modello spesso richiamato nella sua opera. Al contrario: la critica di Callimaco è indirizzata a quegli autori che cercavano di imitarlo, producendo una poesia pesante, tediosa e priva di originalità.
Tra i modelli di Callimaco spicca sicuramente Esiodo, di cui vengono recuperate la vocazione didascalica e la varietà dei temi trattati. Nel Prologo dei Telchini vengono poi ricordati con ammirazione la poesia “dolce” e “sottile” di Mimnermo e Filita di Cos, poeta, precettore di Tolomeo II e maestro di Zenodoto, primo bibliotecario di Alessandria. È già stato ricordato, invece, per la poesia giambica, il modello di Ipponatte. Quanto agli autori che si nascondono dietro i Telchini, il dibattito tra gli studiosi è ancora aperto.
L’eredità di Callimaco sarà raccolta già dai suoi contemporanei in età ellenistica e poi, soprattutto, dalla latinità: da Ennio alla poesia neoterica, con Catullo e i poeti elegiaci, gli autori latini faranno propria la lezione dell’estetica callimachea, così imperniata di dottrina e di preziosa ricercatezza.