Giovanni Boccaccio è stato uno scrittore vissuto nell’Italia del Trecento, autore di opere in volgare in latino, in poesia e in prosa. Fa parte insieme a Dante e Petrarca delle cosiddette “tre Corone Fiorentine”, ovvero dei tre autori che hanno maggiormente contribuito all’avvio e al consolidamento della lingua e della letteratura italiana.
Introduzione a Boccaccio
Dopo una breve introduzione alla vita e alla poetica di Boccaccio analizzeremo alcune delle sue opere principali. Tra queste, ovviamente, non può mancare il Decameron: il suo capolavoro.
La vita di Boccaccio (1313 – 1375)
Giovanni Boccaccio nasce nell’estate del 1313 a Certaldo o a Firenze da una relazione illegittima tra una donna di umile estrazione e Boccaccino da Chellino, agente della compagnia mercantile dei Bardi e consigliere e ciambellano del re di Napoli Roberto d’Angiò. Trascorre la prima infanzia a Firenze, dove inizia a maturare grande interesse nei confronti della letteratura latina e di Dante Alighieri, descritto in una lettera a Francesco Petrarca come la “prima guida e prima luce dei suoi studi”.
Tuttavia, il padre vede nel futuro del figlio la professione mercantile, tradizione di famiglia, e per questa ragione a quattordici anni Boccaccio viene condotto a Napoli come commesso del banco del padre. Si dedica parzialmente al diritto, per volontà del padre, per poi abbandonare questa strada e dedicarsi agli studi letterari e alla composizione vera e propria. In questo primo periodo napoletano scrive sia in poesia sia in prosa, sia in latino sia in volgare, e ne rappresentano il risultato opere come il Filostrato, il Filocolo e il Teseida. Dalla città di Napoli l’autore porterà con sé anche una serie di avventure e racconti che costituiranno un prezioso materiale per la scrittura di alcune novelle del Decameron.
Nel 1340 fa ritorno a Firenze, città in cui rimpiange la leggerezza della società napoletana e dove affronta anche dei problemi economici. Si sposta tra Ravenna e Forlì e tra il 1341 e il 1349 (anno di morte del padre), scrive due opere allegoriche intitolate Commedia delle Ninfe fiorentine e Amorosa visione. Scrive anche l’Elegia di Madonna Fiammetta, un romanzo psicologico che esalta la concezione naturalistica dell’amore. Il nome non appare scelto a caso, ma in riferimento al nome della figlia illegittima del re, incarnazione del personale mito letterario di Boccaccio.
La stesura del Decameron, già iniziata nel verso la fine del periodo napoletano, viene portata a termine nel 1951. Da quel momento, anche grazie a un’intensificazione della vicinanza con Petrarca, avviene una vera e propria conversione, sia letteraria sia spirituale. Alla stessa maniera di quest’ultimo, diviene chierico. Nel 1362, dopo un soggiorno del monaco Leonzio Pilato per l’insegnamento del greco nella sua casa di Certaldo e di altri intellettuali del tempo, questa inizia a costituire il fulcro del primo Umanesimo fiorentino.
Negli ultimi anni della sua vita continua ardentemente la sua produzione letteraria sia in lingua latina con un trattato di mitologia classica sia in volgare con la satira misogina dal titolo Corbaccio e il Trattatello in laude di Dante sulla biografia del poeta. Infine, nel 1370 trascrive un codice del Decameron e, su incarico del Comune di Firenze, tiene un commento dei primi diciassette canti dell’Inferno di Dante. Muore di malattia nel 1375.
La poetica di Boccaccio
L’essenza del Trecento appare fondante per la poetica e il pensiero di Giovanni Boccaccio che si trova in posizione intermedia tra la mentalità medievale e quella umanistica che, non a caso, fiorisce con Petrarca, caro amico dell’autore. Il suo atteggiamento “laico” e l’assenza di una chiave di lettura cristiana, alla maniera di Dante e Petrarca, deriva anche dallo studio delle opere pagane che si va a sommare al completo studio della cultura classica, di quella contemporanea italiana e francese e verosimilmente anche di quella araba, come sembra dalle trame di alcune novelle.
La modernità di Boccaccio emerge anche dalla sua concezione dei legami amorosi. In una prima fase è ancora influenzata dai caratteri della poesia trecentesca stilnovistica, ma successivamente esalta la passione e i risvolti sensuali dell’amore a un livello del tutto naturale e non condannabile, anche all’interno del clero. Boccaccio è moderno anche nella rappresentazione della realtà sociale: grazie alla duplice frequentazione di ambienti di corte e ambienti popolari, l’autore modifica lo scenario rappresentato nelle sue opere iniziando a descrivere realisticamente tutti i caratteri della società ad egli contemporanea. Se per Dante la letteratura assolve una funzione didattica velata sotto l’uso delle allegorie e per Petrarca risponde a un bisogno terapeutico e personale, per Boccaccio invece la letteratura è il “più piacevole diletto”, strumento per alleggerire dalle pene, non solo amorose.
Il termine “boccaccesco”
Il tema erotico trattato all’interno di svariate novelle del Decameron ha sicuramente contribuito al successo dell’opera e dell’autore, ma ha anche favorito una certa condanna morale nei confronti di quest’ultimo al punto da permettere che venisse coniato un aggettivo ad hoc: “boccaccesco”. Questo termine è assimilabile all’idea di volgarità, o piuttosto di malizia.
Tuttavia questo è presumibilmente fuori dalle intenzioni dell’autore che opera una certa rottura dai canoni letterari amorosi che egli aveva come modello. Lo stesso Boccaccio fu costretto a difendere la propria opera dalle critiche mosse in materia di immoralità, nell’introduzione alla Quarta giornata del Decameron e anche nella parte conclusiva: l’amore non può essere immorale dal momento che la grande forza che esso rappresenta non permette a nessuno di resistervi.
Le opere di Boccaccio
Volendo riassumere l’evoluzione della letteratura boccaccesca e catalogare l’insieme delle opere prodotte, è possibile distinguere tre periodi di produzione differenti.
- Nella prima fase, coincidente con la permanenza dell’autore presso Napoli, dove Boccaccio frequenta donne appartenenti a variegate estrazioni sociali, il legame tra l’ispirazione letteraria e quella amorosa risultano molto stretti e l’autore cerca di riflettere i suoi stessi desideri e quelli del lettore.
- Nella seconda fase, afferente la produzione del Decameron, rimane marcata la finalità del piacere, ma se ne aggiunge anche una morale.
- Nella terza fase di produzione, caratterizzata dall’assenza della relazione tra letteratura e pubblico femminile e nota per la composizione di opere latine, lascia spazio alla sola finalità morale e didascalica a partire da una ripresa del mito.
Il Filocolo
L’opera è stata composta durante il periodo della giovinezza dell’autore, tra il 1336 e il 1338, dunque nella fase di permanenza nella città napoletana. Si tratta di un romanzo in prosa, scritto in lingua volgare, volto a raccontare le vicende amorose poco semplici tra Florio e Biancofiore, rispettivamente erede al trono spagnolo e orfana di bassa estrazione sociale.
La struttura narrativa viene presa in prestito dai caratteri principali della mitologia, mentre la trama risente di alcune influenze dei canti popolari e di opere francesi o franco-italiane. La scelta del titolo è dettata da una scorretta personale interpretazione etimologica e vorrebbe significare “fatica d’amore” proprio per rimarcare i numerosi ostacoli che i due amanti incontrano nel corso della propria relazione, primo fra tutti i genitori del giovane Florio.
Sono numerosi i richiami autobiografici e letterari all’interno del romanzo. Innanzitutto, la personale relazione sentimentale di Giovanni Boccaccio e Maria d’Aquino, ovvero la Fiammetta letteraria. In secondo luogo, la travagliata storia amorosa tra Paolo e Francesca, descritta nel V canto dell’Inferno di Dante, guida letteraria dell’autore.
Teseida delle nozze d’Emilia
Questo poema epico, in dodici libri e di circa diecimila versi endecasillabi articolati in ottave, viene realizzato intorno al 1340 per soddisfare l’obiettivo dell’autore di essere il primo italiano a comporre un poema epico in volgare. Il nucleo narrativo ruota attorno alle guerre innescate dal re ateniese Teseo contro le Amazzoni e contro la città tebana.
Tuttavia, appare chiaro sullo sfondo il riferimento a una vicenda amorosa. Si affronta, infatti, una sorta di triangolo amoroso in cui due rivali molto amici, Palemone e Arcita, si contendono Emilia, sorella della regina delle Amazzoni, Ippolita. In seguito al duello tra i due, Arcita, seppure sia il vincitore, lascia Emilia al contendente poiché egli stesso ne esce ferito a morte. La vicenda si conclude narrativamente con le nozze di Emilia e Palemone e i funerali del secondo giovane, mentre, da un punto di vista stilistico, il poema termina con due sonetti di congedo, opposti al proemio e alla lettera di apertura dedicata a Fiammetta.
Il Filostrato
Come l’opera precedente, si tratta di un poema in ottave del 1335 – 1339 nel quale si narra una storia d’amore con base mitologica. I due protagonisti sono il giovane troiano Troilo e la prigioniera Criseida. Credendo che la donna lo tradisca con Diomede, Troiolo cerca di vendicarsi in battaglia con quest’ultimo, ma lì troverà la morte per mano di Achille. Non a caso il titolo vorrebbe significare “abbattuto da amore”.
Stavolta la lettera in prosa iniziale è dedicata a una certa Filomena-Giovanna e non a Fiammetta, motivo per il quale la datazione dell’opera è precedente alle altre. Numerose sono le fonti a cui l’autore attinge nella produzione dell’opera: non più solo canti della tradizione francese, elementi della letteratura di Ovidio, ma anche particolari stilistici ed espressivi ripresi dai versi di Dante o Cino da Pistoia, in passato insegnante di Boccaccio.
L’Elegia di Madonna Fiammetta
Quest’opera, la cui datazione è ricondotta al 1343 circa, si presenta come un romanzo di tipo psicologico in prosa e, nello specifico, un lungo monologo in nove capitoli sotto forma di lettera. Nonostante il romanzo risenta dell’influenza autobiografica dell’autore, il vero obiettivo è l’approfondimento psicologico in merito alle sofferenze amorose di una nobildonna napoletana. Si tratta appunto di Fiammetta che, innamoratasi di un uomo fiorentino, vivrà momenti di grande sconsolatezza alternati ad altri di piena fiducia nel ritorno dell’amato.
Ciò che sorprende dell’opera non è solo l’intima indagine della protagonista, ma il fatto che la narrazione in prima persona dell’opera venga interamente affidata alla donna, sulla scia delle Heroides di Ovidio nella letteratura latina. Fiammetta, di conseguenza, non è qui rappresentata come oggetto d’amore della poesia stilnovistica, ma come protagonista attiva in grado di condurre un monologo che possa anche fungere da elemento didattico per tutte le altre fanciulle nella medesima situazione.
Il Corbaccio
Si tratta di una narrazione in prosa volgare del 1365 la cui etimologia risulta ancora oggi poco chiara. Secondo alcuni, infatti, il titolo potrebbe derivare da “corvo”, simbolo della passione che fa impazzire e rende ciechi. Secondo altri, invece, l’origine potrebbe essere spagnola con “corbacho”, frustino per colpire a sferzate con le sue parole.
Il protagonista, Corbaccio, rifiutato da una vedova che non corrispondeva il suo amore, invoca la morte e si ritrova a sognare lo spirito del marito della donna, il quale racconta al protagonista di essere stato inviato da Dio e dalla Madonna a liberarlo dal labirinto d’amore nel quale egli di trova. Lo spirito, infatti, lo mette in guardia dalle donne lussuriose e ingrate e, più nello specifico, procede a una catalogazione dei principali difetti morali e fisici della vedova. Infine, consiglia a Corbaccio di vendicarsi con la donna e di rivelare la vera essenza delle donne, probabilmente proprio tramite la sua capacità di scrittura.
La donna alla quale l’autore si ispira nella composizione di quest’opera è presumibilmente una vedova della quale egli stesso si era invaghito, ma dalla quale fu rifiutato. È chiaramente evidente il senso di risentimento nei confronti della donna e l’aspra critica misogina diretta all’astuzia delle donne in generale. Ciò ha sorpreso e continua a sorprendere i critici e il lettore, dal momento che in altre opere il modo di descrivere i tradimenti a danno degli uomini era sempre vivace e orientato a suscitare il riso.
Il Decameron
Il risultato letterario più celebre di Giovanni Boccaccio è senza alcun dubbio il Decameron, una narrazione ordinata di cento novelle ad opera di dieci giovani. Il genere a cui il Decameron afferisce era ancora poco sviluppato al tempo e soprattutto poco nobile come quello lirico o epico ma, da quel momento in poi, inizia a configurarsi come uno dei principali generi della letteratura mondiale. La composizione dell’opera si data tra il 1349 e il 1351, subito dopo l’esperienza della peste fiorentina a partire dalla quale l’autore delinea la “cornice” generale in cui si inserisce la vicenda narrata.
Destinatarie dell’opera sono le donne e l’obiettivo finale è quello di alleggerire le loro sofferenze e le pene d’amore dei lettori e di facilitare un’evasione dalla realtà. Dunque, l’opera non risponde a ragioni morali o didascaliche come nel caso di Dante né a ragioni di approfondimento interiore alla maniera di Petrarca. La scelta di una dedica alle donne si può motivare proprio con la consapevolezza dell’autore che le donne abbiano minori occasioni di svago degli uomini, ma si può anche interpretare come una provocazione dal momento che, al tempo, alle donne non spettava ricoprire alcun ruolo politico, istituzionale o culturale.
La trama del Decameron risulta piuttosto semplice e organizzata e trova spiegazione già a partire dal titolo scelto per racchiudere l’insieme di novelle che lo compongono: dal greco “di dieci giorni”. Anche se l’autore cerca di allontanarsi dalla rigidità letteraria medievale, un certo simbolismo numerico è evidente nelle pagine del Decameron e sono forti gli echi danteschi che, proprio sulla base di questo simbolismo, aveva composto poco prima la Divina Commedia.
L’autore immagina che, per fuggire dalla peste di Firenze, un gruppo (“lieta brigata”) di tre ragazzi e sette ragazze si riunisca in una casa di campagna all’interno della quale i personaggi lavoreranno e, giunta la sera, si racconteranno vicendevolmente dieci novelle per dieci giorni. L’organizzazione dei contenuti risulta particolarmente chiara dal momento che ogni giorno viene eletto un re o una regina per decidere la materia trattata e, di seguito, interviene lo stesso Boccaccio per chiarirne il senso finale. L’autore interviene al principio dell’opera per inquadrare la cornice narrativa e contribuire a generare una maggiore unità tra tutti i contenuti, introducendo la storia più grande che contenesse tutte le altre.
Se dovessimo racchiudere in un solo termine la caratteristica principale dell’opera, questo sarebbe “varietà”: varietà di personaggi, varietà di registri linguistici, ma soprattutto varietà di temi. Nel primo e nono giorno la lieta brigata sceglie di trattare un tema libero, mentre le tematiche affrontate nelle altre serate sono le seguenti: avventure a lieto fine quando la regina è Filomena; l’uso dell’ingegno quando Neifile è la regina; gli amori infelici per desiderio di Filostrato; la felicità raggiunta dopo grandi avventure o sventure affrontata mentre Fiammetta è la regina; le risposte argute grazie alle quali ci si allontana da situazioni pericolose per volere di Elissa; le beffe delle donne ai propri mariti mentre regna Dioneo; le beffe in generale quando è Lauretta la regina; infine, l’ultima giornata vede Panfilo come re che decide che si dovrà narrare di chi ha vissuto, con cortesia e magnanimità, avventure d’amore o di altro genere.
Per quanto concerne i personaggi, questi sono abilmente descritti con un grande approfondimento psicologico al punto da sembrare perfettamente reali. La scelta di questi personaggi è funzionale alla rappresentazione della società fiorentina del Trecento con le sue differenti sfumature e all’esaltazione dei valori del ceto borghese, protagonista e destinatario dell’opera. Dal momento che anche altri rami della società fanno la loro comparsa nel Decameron, questo è stato spesso definito come un esempio di “commedia umana” in netta contrapposizione con il capolavoro dantesco.
Infine, l’opera si ricorda anche per l’abilità linguistica e stilistica dal momento che ogni scelta lessicale risponde alla necessità di adeguare il linguaggio agli ambienti, ai tipi di personaggi e anche alle situazioni inscenate. In base ai personaggi si alterna un linguaggio solenne a uno più vivace e diretto e questa flessibilità fa in modo che ci si trovi in presenza di una grande ricchezza di vocaboli e di toni.