L’islamofobia è una piaga sociale che dilaga dai primi anni duemila in tutto l’occidente. È una forma d’odio che purtroppo la politica, i media e l’intrattenimento promuovono tramite luoghi comuni e pregiudizi. Ma cosa si nasconde dietro l’uso del velo e il reale volto dell’estremismo?
Iniziamo con un’immagine:
Una donna dallo sguardo rattristato ti guarda intensamente. La pelle è olivastra e i tratti sono mediorientali. Non parla la nostra lingua e sicuramente non si veste come lo faremmo noi: ha una lunga tunica di stoffa e un velo che le nasconde i capelli sotto un sole caldo e secco.
La figura che ti propongo pare semplice e distintiva, eppure sono sicuro tu ti sia immaginato una donna islamica con il burqa. Ma non è così: ciò che ho descritto è il volto di Maria che assiste alla morte di suo figlio. Ma perché quest’immagine ha subito suscitato l’idea di una donna musulmana sofferente? Per un fenomeno che purtroppo dilaga fortemente dai primi anni duemila: l’islamofobia.
Le Origini dell’Islamofobia
l’islamofobia è un forte rigetto sociale e individuale verso la comunità musulmana. Purtroppo questo fenomeno ingiusto ed estremista viene accompagnato dal razzismo e dall’arabofobia. Ma perché?
L’essere umano cerca sempre di semplificare il mondo che lo circonda generalizzando atti singoli e isolati. Dall’11 settembre il volto del mondo è cambiato nel profondo. Sono aumentati i controlli all’aeroporto e nei centri pubblici per evitare che attacchi terroristici del genere accadano di nuovo. Purtroppo, però, hanno portato con sé discriminazioni e atti violenti da parte della società e della polizia verso chi professa l’islam o semplicemente ha i tratti mediorientali.
Dai media, dalla politica e dall’intrattenimento occidentale emerge sempre la solita storia: uomo arabo cattivo e rude, donna musulmana triste e vittima. È qui che notiamo ancora il fardello dell’uomo bianco, ossia la presunzione dell’occidente di dover civilizzare e cambiare le culture a lui estranee per migliorarle, omologandole ai canoni europei/statunitensi. Dai giornali alle serie TV viene sempre proposta un’immagine stereotipata del mondo arabo e islamico.
Islam e Arabia: non stiamo parlando della stessa cosa
Per comprendere meglio il fenomeno è bene capire una cosa: il mondo arabo e quello islamico non convergono. Difatti il secondo è molto più ampio di quello che pensiamo: comprende il continente Africano e parte dell’Asia. Questo evidenzia che il collegamento culturale che facciamo sempre tra arabo e musulmano è riduttivo e razzista.
Come disse il sociologo contemporaneo Zygmunt Bauman (nel suo saggio “Dentro la globalizzazione”) la società semplifica e generalizza per deresponsabilizzarsi e poter mantenere comportamenti nocivi verso chi non pensa di accogliere.
Una Falsa diversità
Siamo convinti che il mondo arabo e islamico siano molto diversi e lontani da noi. Questo non è vero. Per esempio utilizziamo il sistema di numerazione che comprende lo 0, anche detto sistema dei numeri arabi.
Inoltre alcune parole di uso comune sono direttamente derivanti da vocaboli arabi, come meschino che viene dalla parola mesquino; questo non vale solo per i sostantivi, ma anche per alcuni nomi e cognomi meridionali. Inoltre tutto il meridione e specialmente la Sicilia ha avuto una forte influenza araba, come la Spagna che ha adottato la fonetica della Jota nell’uso della J. Un suono che nelle lingue neolatine compare solo nella penisola iberica.
Oltre a ciò il mondo islamico è di matrice monoteista e ha origine dal solito testo sacro su cui si basa la cristianità: la Bibbia. Come nella maggior parte delle religioni che si considerano cristiane, il dio monoteista ha molti titoli (onnipotente, padre, creatore ecc ecc) ma non possiede un nome. Difatti allah è solo la traduzione del sostantivo dio dall’arabo.
Propaganda Islamofoba
Molti sono convinti che gli immigrati cercano di manipolare a forza il nostro costrutto socio-culturale, grazie a casi isolati di matrice estremista. La maggior parte delle persone non sanno che nell’incontro di culture eterogenee è normale che gli equilibri cambiano, ma questo non vuol dire che una cultura si debba imporre sull’altra, né quella ospitante né quella ospite.
Ciò accade anche perché i media danno peso solo alle notizie di stampo islamofobo. Quando riportano gli eventi riguardanti attacchi terroristici, come quelli dell’Isis, non si disturbano a parlare delle vittime musulmane non estremiste uccise perché non appoggiano l’integralismo islamico. Se ci sono dei casi di furto, femminicidio o altri crimini nei titoli viene inclusa la nazionalità e la religione del penitente, cosa che non accade in caso lo stesso fosse italiano, cattolico o ateo che sia.
La questione del burqua
in Italia si parla molto di burqa e libertà femminile, quando nella penisola nessuno indossa questo vestiario che copre completamente di nero il corpo della donna. Quello che vediamo sulle teste delle donne islamiche si chiama hijab, un velo che si limita a stare sui capelli e a volte anche attorno al collo, o chador, un velo molto lungo che sta sulla testa, occultando il collo e gran parte del corpo, ma che lascia libero il viso.
Inoltre dovremmo giungere a una conclusione fondamentale per comprendere il reale uso del velo: non ha origini religiose, ma culturali. Difatti era già in uso prima che Maometto avesse la rivelazione. Pensiamo ai tempi biblici dove era comune che le donne portassero il capo coperto, come Maria. Nel cristianesimo questa usanza si è interrotta tra i fedeli laici grazie all’espansione nei paesi greci e latini, mentre che nel clero è ancora presente, come negli ordini femminili.
Dovremmo poi anche smettere di credere che l’uso di questo sia necessariamente imposto. Nonostante quello che pensa la maggioranza, molte donne scelgono liberamente di indossare l’hijab per motivi religiosi. L’islamofobia non solo porta l’occidente a credere che ogni donna musulmana sia una vittima, ma porta la società a rispondere con discriminazioni e in certi casi con vere e proprie violenze.
Islamofobia e patriarcato
La cosa interessante è che questi “problemi etici” l’occidente li impone solo nei confronti delle donne. Nonostante molti possano obiettare che fanno ciò perché la donna è più soggetta a discriminazioni – e questo in effetti è vero in tutto il mondo – allo stesso tempo mettono in discussione la comunicazione del corpo femminile, che da sempre è soggetta a canoni e restrizioni. Nessuno obietta contro chi indossa il kippāh, il copricapo ebreo, o il turbante dei Sikh che vengono sempre indossati da uomini.
Questo perché la critica sull’hijab è una critica patriarcale sotto mentite spoglie femministe. Obbligando le atlete a non indossarlo nelle gare sportive in Francia o alle ragazze di far a meno del burkini è come se si stesse dicendo a quelle donne che non sono abbastanza scoperte. Queste si chiamano imposizioni, in altre parole: estremismo.
Quando l’uso del chador, o dell’hijab oppure del burqa viene reso obbligatorio è inumano, ma anche l’imposizione del capo scoperto lo è. Questo non vuol dire che in alcuni casi non si possa parlare di abusi maschilisti che obblighino le donne a indossare un simbolo che non appartiene a loro, ma d’altra parte si dovrebbe poter dire che l’intimazione opposta ha la stessa matrice.
Discriminazioni principali
- Curriculum vitae: alle donne, se il nome è di origine araba, viene richiesta una foto per constatare se usano il velo. In casi di assunzione spesso viene “chiesto” di non indossarlo, pena il licenziamento.
- Gare sportive e piscine: molte donne per partecipare alle gare sportive nazionali sono obbligate ad avere il capo scoperto, senza alcuna motivazione.
Lo stesso succede in alcune piscine pubbliche, dove non vengono ammesse donne con il burkini, un costume molto coprente.
- Forze dell’ordine: quando vengono fatti i controlli sui veicoli, le forze dell’ordine non riconoscono i passeggeri di terza generazione come cittadini italiani a causa dei cognomi o dei tratti somatici. Purtroppo in alcuni casi trattengono i documenti e richiedono anche i permessi di soggiorno, non necessari per chi ha la cittadinanza. In casi più drammatici insultano e picchiano le vittime per xenofobia.
Perché parlarne?
Ho deciso di trattare questo argomento perché ho avuto la possibilità di parlare con chi questo problema lo vive sulla propria pelle, nonostante sia italiana e non porti nemmeno un velo. A volte avere un cognome particolare o semplicemente dei tratti non prettamente europei può causare molti problemi.
Personalmente mi piace scrivere e un giorno vorrei poter vivere in questo modo, creando intrattenimento che abbia anche lo scopo di “educare” il lettore alla diversità, sensibilizzando su ciò che ci circonda. È chiaro, però, che nessuno meglio di chi vive un certo fenomeno può parlarne riguardo criticità e contraddizioni. Per questo ho iniziato a interrogarmi su cosa posso fare io in prima persona per conoscere un punto di vista diverso dal mio, da quello occidentale.
L’unica risposta è quella di studiare e fare ricerche. Ovvio! Non intendo che per conoscere un mondo si debba necessariamente studiare sui libri o prendere parte all’osservazione partecipata a mo’ degli antropologi, non sempre è possibile. Però, quello che sì è fattibile, è conoscere un punto di vista diverso attraverso l’intrattenimento: la lettura di romanzi, la visione di film o semplicemente l’amicizia con qualcuno che vive quel mondo e background che facciamo tanta fatica a comprendere.
Una soluzione all’islamofobia
Per troppo tempo ha dominato una narrazione colonizzata, sempre raccontata da chi strumentalizza l’Islam e il mondo mediorientale ai fini narrativi. Pensiamo ad Aladdin del 1992, interamente redatto, diretto e disegnato da chi Bagdad non l’ha mai visitata. I personaggi stereotipati, i paesaggi deturpati, rappresentati come una larga e lunga landa desolata di sabbia. Pensiamo a Elite, la serie tv Netflix, che ci ripropone una realtà opprimente stereotipata, omofoba e misogina.
La prappresentazione del musulmano è sempre legata ai problemi sociali o al terrorismo e quasi mai a persone di pelle nera o asiatiche. Allora cosa dobbiamo fare? L’unico modo è cercare di accedere a quei romanzi e film che sono scritti e diretti da chi una realtà simile la vive. Solo in questo modo potremo raggiungere un pensiero interno che ci descriva le contraddizioni, i problemi e le gioie che esistono nel mondo islamico.
Un modo è guardare i film di Bollywood, che hanno un’alta presenza di personaggi musulmani ben caratterizzati. Oppure cercare altri prodotti, come We are lady parts, una commedia che descrive i diversi background di ragazze islamiche che vivono la religione in modo individuale. O ancora leggere romanzi di autori affermati come Ahmad Saadawi, che riscuotono successo internazionale.
Conoscere per non temere
In conclusione, l’islamofobia esiste perché non conosciamo bene il mondo islamico. Da troppo tempo viviamo annebbiati dalle notizie estremizzate ed esagerate sui reali fenomeni che riguardano un mondo che sembra lontano, ma con il quale dobbiamo imparare a convivere. Di sicuro ignorare o prendere di mira le differenze non è la soluzione. Credo che sia una responsabilità civica combattere l’islamofobia, in primo luogo conoscendola. In secondo luogo informandoci al meglio su chi ne è vittima e carnefice. E per ultimo continuare a promuovere una cultura aperta e capace di interiorizzare le diversità valorizzandole.
Mattia