Protagonista delle vicende storiche e politiche della Roma del I secolo a.C., Cicerone è tra i più prolifici autori latini. È stato oratore, filosofo e politico e ha lasciato l’eredità delle sue attività in una variegata ed enorme produzione letteraria.
La biografia di Cicerone
La vita di Cicerone è segnata principalmente dalla sua attività politica, perciò è strettamente connessa agli avvenimenti tumultuosi che portano alla fine della Roma repubblicana.
Al centro della scena politica
Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino da una ricca famiglia equestre. Intraprende brillanti studi di retorica e filosofia a Roma, dove conosce Tito Pomponio Attico, a cui si legherà in amicizia per tutta la vita. Dopo aver prestato servizio nell’esercito del padre di Pompeo (Pompeo Strabone), durante la guerra sociale, debutta come avvocato nel foro tra l’81 e l’80 a.C. (Pro Quinctio e Pro Sexto Roscio Amerino). Nei due anni successivi compie un viaggio in Grecia e in Asia, durante il quale studia filosofia e retorica.
L’attività oratoria di Cicerone si intreccia indissolubilmente con quella politica: dopo essere stato questore in Sicilia nel 75 a.C., nel 70 sostiene e vince la causa contro l’ex governatore Verre, accusato di corruzione e avidità dai siciliani. Mentre prende a carico altre cause, di cui resta traccia nelle numerose orazioni che ci sono pervenute, prosegue il cursus honorum ricoprendo le cariche di edile (69 a.C.), pretore (66 a.C.) e console (63 a.C.). L’anno del consolato è anche quello in cui Cicerone scopre e reprime la congiura di Catilina. Tuttavia, di lì a poco, , inizia un periodo di difficoltà e ostacoli politici.
La caduta: dall’esilio all’assassinio
Siamo negli anni successivi alla nascita del primo triumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso (60 a.C.): Cicerone guarda con diffidenza alla stipula di questo patto privato tra i tre uomini più potenti di Roma, che mette in discussione l’autorità del Senato, e nel 58 viene mandato in esilio con l’accusa di aver messo a morte i complici di Catilina senza processo. Gli anni successivi al rientro a Roma, nel 57, sono difficili: il tentativo di collaborare con i triumviri si rivela faticoso e infruttuoso e Cicerone, pur continuando l’attività forense, è sempre più lontano dal centro della scena politica. In questi anni si dedica alla stesura di alcune opere oratorie e politiche (De oratore, De re publica, De legibus) e nel 51 a.C. è costretto ad allontanarsi nuovamente da Roma, avendo ricevuto l’incarico come governatore in Cilicia.
Nel 49 a.C., dopo lo scoppio della guerra civile, Cicerone si schiera senza molta convinzione dalla parte di Pompeo, ma non partecipa alla battaglia di Farsalo (48 a.C.), dopo la quale ottiene il perdono di Cesare. Il dominio di quest’ultimo su Roma lo tiene lontano dalla scena politica: si dedica alla redazione di molte opere filosofiche, fino a quando nel 44 a.C. Cesare non viene assassinato e si apre per Cicerone una nuova possibilità di azione politica. Nella contesa tra Marco Antonio e Ottaviano, l’oratore prende le parti del primo (scrive contro Antonio le celebri Filippiche), che però stringerà un secondo triumvirato con Lepido e lo stesso Antonio: il voltafaccia di Ottaviano costerà caro a Cicerone, che verrà inserito nelle liste di proscrizione e ucciso dai sicari di Antonio nel 43 a.C.
Le opere di Cicerone
Oratore, filosofo, politico e persino poeta: la produzione letteraria di Cicerone spazia dalla retorica e dalla filosofia alla trattatistica politica, dalla poesia alla corrispondenza epistolare – documentazione straordinaria dell’attività instancabile e della personalità di questo autore. Di seguito si presenta un prospetto di tutte le opere di Cicerone che ci sono pervenute, in forma completa o frammentaria, e, tra parentesi, la datazione. Tuttavia, si tenga presente che molte opere sono andate perdute e spesso abbiamo notizia soltanto del titolo o dell’argomento che trattavano.
- Orazioni: Pro Quinctio (81); Pro Sexto Roscio Amerino (80); Pro Roscio comoedo (77?); Pro Tullio (72 o 71); Divinatio in Quintum Caecilium (70); Verrinae (70); Pro Fonteio (69); Pro Caecina (69 o 68); Pro Cluentio (66); De imperio Gnaei Pompei o Pro lege Manilia (66); De lege agraria (63); Pro Rabirio perduellionis reo (63); Pro Murena (63); Catilinariae (63); Pro Sulla (62); Pro Archia poeta (62); Pro Flacco (59); Cum senatui gratias egit (57); Cum populo gratias egit (57); De domo sua (57); De haruspicum responso (56); Pro Sestio (56); In Vatinium (56); Pro Caelio (56); De provinciis consularibus (56); Pro Balbo (56); In Pisonem (55); Pro Plancio (54); Pro Scauro (54); Pro Rabirio Postumo (54); Pro Milone (52); Pro Marcello (46); Pro Ligario (46); Pro rege Deiotaro (45); Philippicae (44-43).
- Opere retoriche: De inventione (84 ca.); De oratore (55); Partitiones oratoriae (54 ca.); De optimo genere oratorum (52); Brutus (46); Orator (46); Topica (44).
- Opere politiche: De re publica (54-51); De legibus (52-?).
- Opere filosofiche: Paradoxa Stoicorum (46); Academica (45); De finibus bonorum et malorum (45); Tusculanae disputationes (45); De natura deorum (45); De divinatione (44); De fato (44); Cato maior de senectute (44); Laelius de amicitia (44); De officiis (44).
- Epistolario (in ordine di destinatario): Ad familiares (16 libri); Ad Atticum (16 libri); Ad Quintum fratrem (27 lettere); Ad Marcum Brutum (2 libri, di autenticità controversa).
- Opere poetiche (giunte in frammenti): Juvenilia; Aratea; De consulatu suo; De temporibus suis; Marius; Limon.
- Traduzioni (in frammenti): del Timeo e del Protagora di Platone, dell’Economico di Senofonte.
Orazioni
L’attività forense e, in generale, l’arte della retorica sono per Cicerone profondamente connesse all’attività politica: è alla parola che vengono affidati i principi etici, le idee e le istanze politiche che caratterizzano la concezione e il progetto di res publica di questo autore. La sua raffinatissima tecnica oratoria trova dunque espressione nelle orazioni in unione con una forte affermazione di un progetto etico-politico e di un’ideologia ben precisi. La convinzione di fondo che muove il pensiero ciceroniano è la necessità di formare una classe dominante secondo l’ideale dell’humanitas, in grado cioè di rimanere fedele al mos maiorum e di servire la res publica e, al contempo, di avvicinarsi alla cultura greca, apprezzando l’arte e la letteratura.
L’esigenza di una rinnovata base etica su cui fondare l’agire politico e individuale è dettata dal profondo cambiamento che interessa la Roma del I secolo a.C.: la rigida moralità delle origini è ormai inattuabile a causa delle grandi ricchezze che affluiscono nell’Urbe dai Paesi conquistati e che quindi mettono a rischio la salvaguardia delle tradizionali virtù romane (rispetto verso gli dei, valore militare, moderatezza…). In questo senso, l’ideologia etico-politica a cui fa capo la produzione ciceroniana si pone a metà tra tradizione e modernità, cercando un compromesso che tuteli i valori tradizionali e accolga con misura il cambiamento.
Tra le orazioni più importanti ricordiamo le Verrinae, costituite dalle due actiones in Verrem (bastò pronunciare la prima, tuttavia, per convincere della colpevolezza dell’imputato): nel 70 a.C. Cicerone sostenne l’accusa dei siciliani contro l’ex governatore della Sicilia Verre, che aveva governato con avidità e corruzione e contro cui l’oratore raccolse moltissime prove. Schiacciato dalle accuse, Verre fuggì dall’Italia pochi giorni dopo l’inizio del processo. Dal punto di vista letterario, le Verrinae sono caratterizzate da uno stile oratorio pienamente maturo: a quello esasperato e manieristico del difensore di Verre, Ortensio Ortalo, esponente dell’asianesimo, si contrappone il periodare armonioso e versatile di Cicerone, che sa calibrare con maestria esuberanza ed asciuttezza verbale.
Altrettanto importanti sono le quattro Catilinariae, pronunciate da Cicerone nel 63 a.C., l’anno del suo consolato. L’obiettivo polemico è Lucio Sergio Catilina, nobile decaduto che, sconfitto nelle elezioni consolari, aveva ordito una congiura per prendere comunque il potere. Cicerone scoprì la cospirazione e, pronunciando queste orazioni in cui esponeva le prove, lo costrinse alla fuga e fece giustiziare gli altri congiurati senza processo (questo provvedimento gli costerà l’esilio anni dopo).
Si ricordino anche la Pro Murena, pronunciate in difesa del console eletto per l’anno successivo: Lucio Licinio Murena, il quale veniva accusato di corruzione elettorale dall’avversario sconfitto e da Catone il Giovane, discendente di Catone il Censore. Allontanandosi dall’antico rigore morale rappresentati da quest’ultimo, Cicerone traccia i confini della nuova etica che propone per le classi dominanti romane, fedele al mos maiorum e al contempo aperta alle novità.
Agli anni del primo triumvirato risale invece la Pro Sestio, in difesa di un tribuno della plebe, importante perché contiene l’espressione del consensus omnium bonorum, cioè la concordia tra le persone abbienti, che non devono perseguire i propri interessi bensì quelli della res publica. Questa posizione si sostituisce a quella precedente, elaborata al tempo del consolato, della cosiddetta concordia ordinum, riferita cioè alla collaborazione tra optimates e ceto equestre.
Agli anni successivi alla guerra civile risalgono poi le orazioni “cesariane” (46-45 a.C.: Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro): dopo averne ottenuto il perdono, Cicerone cerca una collaborazione con Cesare nel tentativo di renderne il governo meno autoritario – e per questo Cesare qui viene celebrato con abbondanza di elogi. Celebri, dopo il 44 a.C., anno dell’assassinio di Cesare in senato, le Filippiche, ovvero le diciotto orazioni indirizzate contro Marco Antonio, avversario di Ottaviano sullo scenario politico di Roma: particolarmente violente nei toni e nelle accuse, le Filippiche costarono a Cicerone la vita dopo che Ottaviano strinse l’accordo del secondo triumvirato con Lepido e Antonio, che pretese il nome dell’oratore nelle liste di proscrizione.
Opere retoriche
Dopo essere rientrato dall’esilio, Cicerone sente la necessità di organizzare e sistematizzare le conoscenze e l’esperienza acquisite: sono gli anni delle opere retoriche, incentrate sulla formazione e sul ruolo dell’oratore in un momento di profonda crisi politica e sociale. La questione centrale affrontata in questi scritti è se all’oratore basti conoscere soltanto un certo numero di regole retoriche oppure se debba padroneggiare un’ampia conoscenza del diritto, della filosofia e della storia. Appartengono a questo gruppo:
- il De inventione, iniziato in gioventù e costruito sull’idea di un’unione tra eloquenza e sapientia (equivalente alla cultura filosofica);
- il De oratore (55 a.C.), costruito in forma di dialogo tra vari personaggi storici del tempo, portavoci delle varie posizioni e della dottrina oratoria;
- l’Orator (46 a.C.), che riprende i temi del precedente e individua il fine di dell’arte oratoria nel probare (ovvero presentare la tesi con argomenti validi), nel delectare (cioè usare parole piacevoli) e nel flectere (ovvero muovere le emozioni dell’uditorio), corrispondenti rispettivamente ai tre stili canonic: umile, medio ed elevato;
- il Brutus, dove Cicerone si pronuncia sul tema dello stile più adeguato all’arte oratoria: nel dibattito tra gli “atticisti”, sostenitori di uno stile scarno e asciutto, e gli esponenti del cosiddetto “asianesimo”, che propendevano invece per uno stile abbondante e manieristico, Cicerone afferma che il registro dell’orazione debba adattarsi al momento e all’esigenza e che l’oratore debba dunque essere versatile nelle scelte stilistiche.
Opere politiche
Il De re publica, composto tra il 54 e il 51 a.C., come già alcune delle opere filosofiche, recupera il modello del dialogo platonico. Nei sei libri che lo costituiscono, Scipione Emiliano e altri personaggi discutono delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia), della costituzione romana, della iustitia, dell’educazione dei cittadini e di molti altri temi legati alla dottrina politica. In quest’opera Cicerone individua la migliore forma di Stato nella costituzione romana del tempo degli Scipioni, cioè una repubblica aristocratica.
Il De re publica, esattamente come l’omonimo trattato del filosofo greco Platone, è completato dal De legibus, iniziato nel 52 e anch’esso in forma di dialogo: qui Cicerone traccia i principi fondamentali del diritto e delle leggi dello Stato, con diretto riferimento al corpus legislativo romano. Di quest’opera ci sono pervenuti i primi tre libri e frammenti del IV e del V.
Opere filosofiche
Cicerone studia la filosofia fin dalla giovinezza, ma si dedica con sistematicità alla redazione di opere filosofiche soltanto a partire dal 45 a.C., in corrispondenza di dolorosi avvenimenti come la morte della figlia Tullia e l’impossibilità di intervento politico a causa della dittatura di Cesare. Le opere filosofiche recuperano e ripercorrono la dottrina filosofica greca, analizzandone metodi e teorie, ma sempre nell’ottica di fornire alla classe dirigente romana una solida base etica. La maggior parte di questi scritti impiega la consueta forma del dialogo, spesso tra personaggi contemporanei, che si fanno portavoce delle varie teorie filosofiche.
Tra le opere filosofiche più importanti spicca sicuramente il De finibus bonorum et malorum, in cinque libri, che affronta il problema del sommo bene e del sommo male mettendo a confronto varie teorie filosofiche (epicureismo, stoicismo, platonica, aristotelica e, infine, quella eclettica di Antioco di Ascalona, maestro di Cicerone). Il sommo bene coincide con il bene dell’anima, la virtù, l’unica a poter garantire la felicità. L’applicazione concreta della rassegna teorica del De finibus è espressa nelle Tusculanae disputationes, in cui la virtù si misura con gli ostacoli quotidiani della realtà che la mettono in pericolo: il trattato passa in rassegna vari temi (morte, dolore, tristezza, turbamenti dell’animo), al fine di indicare come sostenere la virtù e ottenere la felicità.
Altre tre opere – il De natura deorum, il De divinatione e il De fato, redatti tra il 45 e il 44 a.C. -, trattano invece di temi religiosi. Il primo tratta dei punti di vista epicureista, stoico e scettico sulla religione; il secondo affronta il tema dell’arte divinatoria e della necessità della religione per mantenere il controllo sui ceti inferiori; l’ultimo è dedicato alla dottrina stoica del fato, il destino inevitabile e prestabilito, interrogandosi sulla libertà e sulla responsabilità delle azioni umane.
Si ricordino anche, tra le opere filosofiche, il Cato maior, sulla vecchiaia e sull’impossibilità di intervento politico, il Laelius, sull’amicitia, e il De officiis. Quest’ultimo testo viene redatto in pochissimo tempo nel 44 a.C.: all’indomani dell’assassinio di Cesare, mentre Ottaviano e Antonio si affrontano in un momento di profonda crisi politica, Cicerone ricerca nella filosofia i fondamenti di una nuova morale che possa guidare la classe dirigente romana e ristabilire l’ordine della società. Diviso in tre libri, il trattato affronta l’honestum (ciò che è moralmente giusto), l’utile e il rapporto tra i due, recuperando in parte la dottrina del filosofo Panezio di Rodi nel sistema di istinti e virtù.
L’epistolario
Fondamentale per la conoscenza di Cicerone è l’epistolario, ossia l’insieme delle lettere reali inviate da Cicerone che ci sono pervenute. Si tratta di circa 900 epistole risalenti al periodo che intercorre tra il 68 e il 53 a.C., che variano nel contenuto, nei toni e nei destinatari: si va dai semplici biglietti d’invito alle lettere elaborate, da quelle destinate agli amici e ai parenti a quelle invece rivolte ad eminenti personaggi dello scenario politico. Non essendo state concepite per la pubblicazione, rispecchiano la personalità e gli stati d’animo della persona di Cicerone nel periodo in cui furono scritte e, anche nella lingua e nello stile, riflettono il sermo cotidianus delle classi colte di Roma. Pubblicate postume, le epistole sono divise in quattro categoria a seconda del destinatario:
- Ad familiares, in 16 libri (a parenti e amici);
- Ad Atticum, in 16 libri (a Tito Pomponio Attico, amico di Cicerone per tutta la vita);
- Ad Quintum fratrem, in 3 libri (al fratello Quinto);
- Ad Marcum Brutum, in 2 libri (Marco Giunio Bruto, il cesaricida).
Lingua e stile di Cicerone
Nella redazione delle opere letterarie, Cicerone ha ben presente la produzione greca, che, soprattutto per la filosofica, dispone di una terminologia estesa e specifica. Invece di usare grecismi per far fronte all’inadeguatezza del lessico latino, però, Cicerone cerca di tradurre il più possibile le parole greche nella propria lingua e, anzi, introduce molti neologismi.
Quanto alla sintassi, il periodo dell’autore è complesso e armonioso, strutturato con attenzione secondo l’ordine logico del procedere argomentativo e con estrema attenzione al ritmo e al suono delle parole. La caratteristica tipica del periodare ciceroniano, così lucido e razionalmente organizzato secondo un’idea di simmetria ed equilibrio verbale e concettuale, è comunemente denominata concinnitas. La prevalenza dell’ipotassi sulla paratassi, tuttavia, non impedisce a Cicerone di variare nei registri stilistici e nei toni, a seconda del contesto e dell’esigenza dell’opera.