Studiare la commedia latina, così come quella greca (da cui si ispira), significa rendersi conto dell’enorme influenza dei generi teatrali antichi, capaci di attraversare le epoche e spiegare le scelte stilistiche dei nostri giorni. Dopo una breve introduzione alle caratteristiche generali della commedia latina vedremo più approfonditamente i due autori che sono stati responsabili dell’evoluzione di questo genere nella Roma antica: Plauto e Terenzio.
La commedia latina: introduzione
Ciò che sappiamo sulle origini del teatro a Roma è contenuto nel Ab Urbe Condita dello storico Tito Livio il quale, esponendo il programma dei ludi Romani, informa che nel 394 a.C. i cosiddetti ludi scaenici iniziarono a contendere la scena con i tradizionali riti propiziatori. Vennero istituiti con l’obiettivo di placare gli animi, sconvolti da una pestilenza, e per l’occasione furono chiamati a partecipare come ballerini dei ludiones dall’Etruria. I giovani romani iniziarono a imitare questi ballerini, aggiungendo anche dei versi rozzi, parole e gestualità sotto forma di scambio di battute e poi si passò da queste composizioni grossolane a delle scenette più complesse – complete di danza, musica, canto e recitazione, chiamate satire.
Fabula palliata e fabula togata
All’affermarsi a Roma del genere della commedia, la sua evoluzione seguì i modelli greci della Commedia Nuova di Menandro e le opere presero il nome di fabula palliata perché gli attori indossavano il pallium, una piccola mantella come era tradizionalmente fatto in Grecia. Poi gli autori latini introdussero un genere comico tipicamente romano, ovvero la fabula togata o trabeata, derivanti rispettivamente dal nome del tipico abito romano “toga” e dal particolare tipo di toga per cavalieri trabea. Questo genere presentava naturalmente un’ambientazione romana e, di conseguenza, faceva riferimenti a usi e costumi, professioni, ma anche personaggi che il pubblico romano del tempo aveva ben chiari.
Il confronto tra il teatro greco e quello latino (e di riflesso a grandi linee anche tra fabula palliata e fabula togata) può essere giocato sia sul piano dei contenuti sia quello delle tradizioni popolari e delle convenzioni sociali associate al mondo teatrale.
- Sul piano dei contenuti, un primo elemento di distacco nella commedia latina è dato dall’assenza di una finalità critica nei confronti della società: nelle commedie di Aristofane, autore principale della Commedia Antica greca, infatti, l’invettiva sociale o di costume costituiva un tema centrale.
- Sul piano delle convenzioni e tradizioni è importante guardare alla composizione sociale degli attori. Nella commedia latina partecipano solo schiavi o liberti perché, a differenza di quanto avveniva per il teatro greco in cui questi godevano di rispetto e ricevevano un compenso, a Roma la drammaturgia era profana e quindi non ritenuta particolarmente di valore: anche gli autori di teatro, infatti, erano ex schiavi. Invece, sia in Grecia sia a Roma, alle donne non era concesso recitare – a meno che (nel caso romano) non si trattasse di compagnie di mimi o di atellane in cui gli attori non erano schiavi, bensì gente libera.
Un’altra differenza rilevante tra il mondo greco e quello latino – a metà tra le due categorie – riguarda l’impiego della maschera (detta “persona”). Nel teatro greco rivestiva una grande importanza, mentre la commedia latina non ne fa uso: probabilmente era presente nel teatro buffonesco e nelle occasioni di improvvisazione ma, nel teatro di Plauto, ad esempio, si dava largo spazio alla mimica facciale e ciò non era compatibile con una maschera. Ad ogni modo, sono tante le rappresentazioni di maschere nell’arte romana, ma venivano principalmente utilizzate come simboli della tragedia e della commedia. Per distinguere i ruoli di base della commedia, servivano quindi altri segni di riconoscimento, come le parrucche, il trucco o gli oggetti di scena. A questi andavano poi aggiunti anche i personaggi “tipici”, come il giovane innamorato, l’anziano avaro, lo schiavo astuto, il soldato sfortunato in amore e altri.
Nevio: il pioniere della commedia latina
Il primo autore riconosciuto del teatro comico latino è Nevio, del quale ci rimangono poco più di 100 versi in metri giambici e trocaici e oltre 30 titoli (alcuni dei quali potrebbero essere, come anticipato, delle fabulae togate). Il teatro di Nevio era caratterizzato da un tono aspramente polemico, ricco di ingiurie e offese nei confronti dei patrizi, gli uomini più in vista per il tempo. Probabilmente è per questo motivo che fu incarcerato in tarda età.
Sebbene Nevio fu l’anticipatore del genere tipicamente romano della fabula togata, questo genere non ebbe un grande sviluppo. È soprattutto con le figure di Plauto e Terenzio che il teatro comico romano si sviluppa pienamente. Entrambi di dedicarono principalmente alla composizione di fabulae palliatae, non consentendo alla fabula togata di ricevere una grande spinta allo sviluppo.
Plauto (255/250 a.C. – 184 a.C.)
Nonostante sia uno dei principali autori della commedia latina, le notizie sulla vita di Plauto sono esigue. Sappiamo che nacque tra il 255 e il 250 a.C. a Sarsina, città umbra sull’Appennino romagnolo, e che morì nel 184 a.C. a Roma, dove svolgeva la sua carriera teatrale. Il suo nome completo era presumibilmente Titus Maccius Plautus, in stretto legame con il mondo del teatro al quale egli apparteneva. Infatti, il cognomen “Plautus” potrebbe essere dovuto al termine con cui erano chiamati gli attori del mimo, ovvero “piedipiatti”. Allo stesso modo, si pensa che il nomen derivi da Maccus, un personaggio dell’atellana: forma di rappresentazione teatrale ispirata alla vita quotidiana dell’Italia meridionale e interpretata da personaggi fissi di cui egli si servì particolarmente.
L’opera di Plauto non riscosse molto successo durante il Medioevo e per questo motivo rimase a lungo sconosciuta. Tuttavia tornò a ricoprire un ruolo centrale durante il Rinascimento, tanto da influenzare anche il teatro moderno di Shakespeare, Molière e Goldoni.
La commedia latina di Plauto in confronto ai modelli greci
Plauto si ispirò alle opere di autori greci, ma le tradusse nell’ambiente del pubblico romano con una comicità popolare e vivace. Come in Aristofane, ad esempio, il mondo rappresentato nelle commedie plautine rovescia ogni regola e stravolge il ritmo della quotidianità, abbracciando situazioni paradossali. Di contro questo capovolgimento dell’ordine prestabilito è solo provvisorio: le opere non sovvertono del tutto l’ordine sociale, tanto che tutte si concludono con un lieto fine e il ripristino della normalità.
In realtà il principale autore a cui Plauto attinge per l’ispirazione delle sue opere è Menandro, esponente della commedia nuova greca. in un’ottica di riadattamento. Questo lavoro di riadattamento si esplica su vari piani – quello dei caratteri, delle trame e dello stile – e attraverso le strategie della contaminatio e del vortere barbare. Rispettivamente indicano, la prima, la mescolanza di più commedie per generare un unico intreccio e, la seconda, il riadattamento linguistico del testo greco in un latino acceso e pittoresco.
Le altre novità principali introdotte da Plauto riguardano:
- la presenza dei cantica, sezioni della rappresentazione cantate con accompagnamento musicale;
- la spiccata attenzione prestata nei confronti del divertimento del pubblico, spesso suscitato senza tener conto della verosimiglianza delle trame;
- il ricorso al metateatro attraverso la rottura della quarta parete: il dialogo diretto da parte dei personaggi nei confronti del pubblico – funzione quasi sempre ricoperta dal personaggio dello schiavo. Questo espediente non solo contribuisce a rendere confidenziale il rapporto tra le due parti (attori e pubblico), ma è anche responsabile delle fine dell’illusione scenica tipica della rappresentazione teatrale di pura finzione. È il momento della beffa a ridestare il pubblico dall’inconsapevolezza di essere davanti a una finzione scenica in quanto, partecipando al “farsi” del teatro stesso, ricoprirà anch’esso il ruolo di “attore”.
Le opere
Le opere di Plauto ci sono pervenute in numero ridotto. Rispetto alle 130 commedie che gli erano attribuite nel II secolo a.C., la selezione dallo studioso romano Marco Terenzio Varrone ne ha considerate autentiche solo 21, le attuali superstiti – tutte integre ad eccezione della Vidularia in frammenti. Tutte le commedie sono caratterizzate da un’ambientazione greca (quindi si tratta di fabulae palliatae) e, anche se risulta difficile stabilirne la data di composizione per mancanza di dati autobiografici e di dettagli storici, sono tutte risalenti all’ultimo ventennio di produzione dell’autore (la sua fase di maggiore maturità artistica).
Le opere plautine sono caratterizzate da alcuni elementi ricorrenti.
- La struttura. Ogni commedia è composta da un unico atto, che viene sempre preceduto da un prologo in cui un personaggio interno alla trama, una divinità o un’entità astratta introducono al pubblico l’antefatto della vicenda. Inoltre, sempre prima dell’inizio della trama, nella versione manoscritta dell’opera si può leggere una sintesi dei fatti (o argomentum) che, in alcune commedie, compare due volte.
- I personaggi e le trame. Il teatro di Plauto è popolato da personaggi scarsamente approfonditi, dunque delle maschere stereotipate e pesantemente esagerate, che si relazionano tra loro secondo alcuno pattern narrativi. Solitamente troviamo un adulescens, ovvero un giovane libero non sposato, che si innamora di una donna. Quest’ultima può essere una cortigiana oppure una donna onesta: nel primo caso il giovane deve trovare i soldi per riscattarla dal lenone, mentre nel secondo l’ostacolo è tipo familiare. Nel risolvere la questione, l’adulescens viene aiutato da un servus callidus, schiavo molto sveglio le cui azioni faranno particolarmente divertire il pubblico, che organizza un inganno per il padre o il padrone della donna e fa concludere positivamente la vicenda.
Amphitruo – L’Anfitrione, l’unica commedia di Plauto a soggetto mitologico. Appartiene alla categoria delle commedie dei simillimi, strategia usata da Plauto per inserire due personaggi identici e suscitare il riso tramite la confusione che si genera sulla scena. Giove e Mercurio assumono l’aspetto di Anfitrione e del suo servo Sosia con lo scopo di ingannare Alcmena, di cui il padre degli dei è innamorato. Giove trascorrerà una notte con la donna che darà alla luce Ercole, ma alla fine le verrà svelato quanto accaduto e Anfitrione sarà costretto ad accettare il volere divino.
Aulularia – La Commedia della Pentola prende avvio dal ritrovamento di una pentola piena di monete d’oro da parte dell’avaro Euclione che vive con la paura di essere derubato, come poi effettivamente si verificherà. Oltre a questo, si aggiunge alla trama anche la relazione amorosa tra Fedra e Liconide.
Menaechmi – I Menecmi è una commedia molto divertente e semplice che ha come protagonisti due gemelli ignari l’uno dell’altro. Menecmo, infatti, è stato rapido da bambino e viene cercato dal fratello Sosicle, chiamato Menecmo in nome del bambino rapito. Quando si ritroveranno nella stessa città, Epidamno, si verranno a creare delle situazioni comiche e intriganti che poi si concluderanno con un lieto fine.
Miles Gloriosus – Il Soldato Fanfarone tratta in maniera molto divertente delle avventure del soldato Pirgopolinìce che ha rapito una ragazza di nome Filocomasio, tenendola come sua concubina ad Efeso. In realtà Filocomasio ama ed è amata dal giovane ateniese Pleusicle, il quale sarà aiutato dal suo fidato servo Palestrione: sarà infatti quest’ultimo a trovare Filocomasio, condurre il proprio padrone a Efeso ed escogitare un modo per liberare la ragazza e raggirare il vanaglorioso Pirgopolinìce.
Pseudolus – Lo Pseudolo rappresenta uno dei principali esempi di commedia del servus callidus dal momento che ha come protagonista un servo molto astuto, Pseudolo, che aiuterà il padroncino Calidoro nella conquista della cortigiana Fenicia – sotto il controllo del lenone Ballione.
Stile e poetica della commedia latina plautina
Plauto riesce a liberare una forte creatività espressiva per quanto riguarda le scelte linguistiche e stilistiche. Abile creatore di doppi sensi e giochi di parole, non persegue dei fini morali o educativi, ma riesce a suscitare facilmente il riso nel pubblico grazie all’ausilio di metafore, neologismi, assonanze e onomatopee. Questo obiettivo viene anche raggiunto grazie alla presenza di rapidi scambi di insulti e grazie allo stile colloquiale degli interlocutori. Il linguaggio di Plauto appare bizzarro anche per la combinazione dei registri lessicali latino e greco che vengono usati rispettivamente per i personaggi preferiti dell’autore (come il servo scaltro) e per i personaggi più criticati (tra cui, ad esempio, fannulloni e parassiti).
Come nella commedia da cui Plauto prende ispirazione, ampio spazio viene dato alla musica, ma non solo negli intermezzi musicali di confine tra i vari atti. Oltre ai deverbia, parti recitate senza accompagnamento musicale, e ai recitativi con l’accompagnamento musicale, vengono infatti aggiunti i cantica: sezioni di commedia interamente musicate e cantate da una o più voci. Questa alternanza tra parti dialogate e cantate giova sicuramente all’intrattenimento e viene anche segnalata da una metrica differente: il senario giambico per i deverbia, il settenario e l’ottonario trocaico per i recitativi e una grande varietà di metri per i cantica.
Terenzio (185/184 a.C. – 159 a.C.)
Quanto sappiamo sulla biografia di Terenzio lo apprendiamo dalla Vita Terenti del II sec. d.C. dello storico Svetonio. Terenzio è un africano di stirpe fenicia o libica, nato a Cartagine nel 185 o 184 a.C. e condotto a Roma come schiavo. Il suo padrone (il senatore Publio Terenzio Lucano) nota la sua intelligenza, lo educa e lo affranca, inserendolo anche nel modo dell’aristocrazia intellettuale dell’epoca e facendolo entrare in contatto, ad esempio, con il Circolo degli Scipioni e in particolare con Gaio Lelio Minore e Scipione Emiliano.
Il suo esordio a teatro avviene con la fabula palliata Andria e in soli sette anni di carriera scrisse molte commedie, di cui sei ci sono giunte integralmente. Si tratta esclusivamente di fabulae palliatae di ambientazione greca, la cui ispirazione è rappresentata dai commediografi Apollodoro di Caristo e Menandro. Anche i titoli delle opere sono in greco: Andria, Hecyra, Heatontimorumenos, Eunuchus, Phormio e Adelphoe.
Le opere di Terenzio non sempre erano molto gradite dai sostenitori del mos maiorum perché ritenute troppo filo-elleniche. Sempre all’interno di questo dibattito ideologico, altri fatti coinvolgono Terenzio, come i pettegolezzi sulla falsa paternità delle sue opere. Egli muore nel 159 a.C. in Grecia, dove era tornato l’anno precedente dopo la rappresentazione della sua ultima commedia a causa del clima ormai troppo difficile da sopportare a Roma.
Le risposte di Terenzio alle critiche
Una prima caratteristica che contraddistingue la commedia latina di Terenzio è rappresentata dalla presenza di un prologo che comunica le intenzioni dell’autore. Un personaggio sulla scena, dunque, si trova a svolgere una funzione metaletteraria, ma anche di polemica verso chi accusava la sua arte. Tre tipi di accuse gli venivano mosse, principalmente dal poeta Luscio di Lanuvio:
- un uso eccessivo dell’espediente della contaminatio e dell’imitazione dei modelli greci e latini (fino all’accusa di plagio);
- uno stile troppo povero e poco vivace;
- come anticipato, l’appropriazione indebita di opere altrui.
Ed ecco che, grazie ai suoi prologhi, Terenzio ha la possibilità di replicare ai propri detrattori:
- Non si può criticare la tendenza alla contaminatio dei canoni greci, in quanto riscontrabile anche in autori come Nevio, Ennio e Plauto.
- La comicità non va suscitata facendo ricorso alla vivacità scontata, bensì alla levitas e tenuitas, quindi alla leggerezza e alla raffinatezza. Ciò che contribuisce a fornire valore alla messinscena non è rappresentato dall’argomento centrale, bensì dal lavoro sui personaggi e dalla loro trasformazione nel corso delle varie situazioni.
- La convinzione che tali opere vengano attribuite a nobili personaggi e autori certamente può costituire motivo di orgoglio per il poeta che gode di queste importanti conoscenze.
Stile e poetica della commedia latina terenziana in confronto a quella di Plauto
A differenza di Plauto, che spazia tra più argomenti, Terenzio rimane più fedele ai temi della Commedia Nuova con delle trame incentrate sul contrasto tra anziani genitori che ostacolano giovani innamorati aiutati da schiavi. Inoltre, per Plauto l’ambientazione greca presenta i tratti del surreale, mentre per Terenzio quelli del verosimile: egli non punta alla comicità semplice e popolare come il primo, ma cerca di garantire l’impiego di temi educativi, la ricerca della verosimiglianza scenica e l’analisi psicologica dei personaggi. Quest’ultima spesso viene messa in scena attraverso la tecnica del contrasto drammatico che pone di fronte caratteri opposti in modo tale che, dal loro dibattito e confronto, ognuno possa giungere alle proprie conclusioni.
Se la commedia di Plauto è comica e dinamica (pertanto definita “commedia motoria”), quella di Terenzio è tipicamente “stataria” dal momento che punta al carattere piuttosto che all’intreccio ed è quindi più introspettiva che rivolta al pubblico. In quanto parte del Circolo degli Scipioni, Terenzio rispetta i valori chiave di giustizia e riflessività e applica questa nuova humanitas anche alle sue opere. Probabilmente questo modo di intendere il teatro non produce un’immediata risata, ma chiede al pubblico un maggiore sforzo dal momento che affronta anche la complessità dell’animo umano.
Come è facile aspettarsi, i contenuti e lo stile delle opere vanno di pari passo con i valori morali dell’autore. Di conseguenza, lo stile delle commedie di Terenzio può essere sintetizzato nella semplicità e nella classicità, in una forma che sia coerente ai temi e al messaggio ultimo delle opere. Si apprezzano una chiara armonia nella costruzione sintattica e metrica delle opere e anche una certa raffinatezza nelle scelte linguistiche.Ciononostante, non mancano battute e proverbie rimane invariata la struttura plautina divisa in parti recitate, parti cantate e parti recitate con accompagnamento musicale. Se però in Plauto si scatenava quello che i critici hanno definito “lirismo comico“ con un’abbondanza di parti musicate volte a suscitare il riso in tutte le sue opere, Terenzio è considerato l’autore del “realismo comico” che dedica delle parti cantate esclusivamente nell’Andria e negli Adelphoe e che dota i suoi personaggi del cosiddetto sermo cotidianus, ovvero la lingua tipica del ceto medio.